Siria: le vie di Obama sono finite

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ITALIA – Roma 11/09/2013. Un brusco cambiamento di direzione di Barack Obama è quello registrato nell’arco di poche ore.

Il presidente americano sta adottando una nuova tattica, dopo la proposta di Mosca per il controllo internazionale dell’arsenale militare siriano da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Infatti il 9 settembre il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha chiesto al regime di Assad di mettere sotto il controllo internazionale le armi chimiche in suo possesso e il ministro degli esteri siriano ha dichiarato che la Siria è pronta ad accettare la proposta russa. Una mossa tattica di Putin discussa con Obama ancora durante il G20. La Russia si è sempre dichiarata contraria a qualsiasi attacco militare in Siria e ha anche messo in chiaro che non sarebbe entrata in guerra con l’Occidente contro il Paese mediorientale. Ha posto il veto a tutte le risoluzioni occidentali nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che condannavano il governo siriano. Principale fornitrice di armi alla Siria dal 1973, ha fatto tutto il possibile per armare questo paese intensificando le sue forniture negli ultimi due anni.

Cosa ha convinto Obama dopo tanti “tira e molla” ad accettare la strategia russa, lui che rappresenta la superpotenza mondiale che da sempre comanda il pianeta? Ora è difficile trovare una ragione  valida per un possibile attacco, tale da essere approvata dall’Onu. Obama è consapevole che dovrà toccare con un bastone il nido delle vespe senza disturbarle. E certamente, la coalizione sciita rappresentata da Assad, Hezbollah e l’Iran non staranno a guardare. O forse una dichiarazione senza precedenti di un ex funzionario iraniano gli ha fatto riflettere sulle conseguenze dell’attacco? Un avvertimento di rapimenti di massa e uccisioni brutali di cittadini americani in giro per il mondo e lo stupro e l’uccisione di una delle figlie di Obama, se gli Stati Uniti d’America attaccheranno la Siria. Alireza Forghani, un analista ed esperto di strategia, ex governatore della provincia di Kish, nel sud dell’Iran, ha gettato il classico sassolino nello stagno del presidente americano. «Speriamo che Obama sia testardo abbastanza da attaccare la Siria. Dopo solo 21 ore dall’attacco alla Siria, un membro della famiglia di ogni ministro degli Stati Uniti, gli ambasciatori degli Stati Uniti, e i comandanti militari statunitensi in tutto il mondo verranno rapiti, e poi 18 ore dopo, i video delle loro decapitazione saranno distribuiti in tutto il mondo».

Ma non sono certo queste minacce da smargiasso, ad aver fermato la mano del presidente americano, altre situazioni e altri scenari si sono presentati agli occhi della comunità internazionale che non sono di facile lettura. Provando semplicemente a ricostruire i fatti si può notare che dopo il fatidico incontro Obama- Putin, al G20 del 6 settembre, vi è stato uno strano susseguirsi di eventi. Undici paesi su venti, tra cui l’Italia, firmano il documento di accusa contro Assad presentato da Obama, senza avere prove certe, senza che gli esperti abbiano avuto il tempo di dare risposta della loro missione di verifica in Siria. Obama così ha però potuto presentarsi a Putin quasi come un  “perdente” di successo, almeno agli occhi del mondo. Ecco all’improvviso che arriva la liberazione di Domenico Quirico e Pierre Piccinin (quale la data di rilascio, dove, chi è intervenuto? Regna un silenzio assordante in merito alla vicenda) vengono liberati e mentre il giornalista dichiara «è stato come stare su Marte e i marziani sono cattiv» l’insegnante belga dice di aver sentito delle telefonate in cui i ribelli confermavano di essere i responsabili dell’utilizzo delle armi chimiche. 

Kerry e Obama continuano a fare il gioco delle dichiarazioni e delle smentite, prendendo tempo quasi a voler fare dimenticare che il presidente americano era talmente certo della colpevolezza del presidente Assad da essere pronto al bombardamento da lì a due giorni. Ne sono passati dieci e oggi ecco le ultime dichiarazioni uscite dalla riunione urgente dei maggiori paesi coinvolti in cui la Russia chiede all’Onu una riunione per trovare la soluzione alla crisi siriana a seguito della conferenza stampa americana della Camera dei rappresentanti del Congresso tenutasi di fronte al Comitato delle Forze Armate in cui hanno partecipato il Segretario di Stato John Kerry, il Capo del Pentagono Chuck Hagel e il presidente del Joint Chiefs of Staff Martin Dempsey che dichiaravano di nuovo di essere pronti al bombardamento. Ma pare invece Obama che abbia chiesto ai senatori di spostare la votazione sull’intervento militare in Siria per dare ancora una chance alla soluzione diplomatica della crisi. Infine Lavrov e Kerry stanno decidendo di incontrarsi a Ginevra il 12 settembre. Insomma tutto e il contrario di tutto proprio per confondere le idee e permettere agli Stati Uniti di uscire dall’impasse senza avere troppe ossa rotte. L’intervento sembra ormai scongiurato e se Obama pensava di uscire dalla crisi economica utilizzando ancora una guerra pare dovrà trovare un altro escamotage (Papa Francesco docet!), perché stavolta il mondo lo ha davvero lasciato solo, gli è rimasto soltanto il presidente François Hollande che continua ad essere l’unico ad aver le armi cariche e ci chiediamo a  questo punto se non avesse anch’egli mire espansioniste per la ricostruzione siriana. D’altronde la Sira e il ;Libano erano “mandati francesi” dopo la Prima guerra mondiale. I paesi amici però avranno già occupato le poltrone in prima fila, qualcuno avrà perso il treno e la ripresa economica dovrà attendere.