SIRIA. Petrolio e Neocolonialismo: ecco come e perché gli USA restano nel Nord

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Verso la fine di luglio scorso, durante un’udienza del Senato, il segretario di Stato Mike Pompeo ha confermato che il Dipartimento di Stato aveva assegnato ad una società americana, la Delta Crescent Energy, un contratto per iniziare ad estrarre petrolio nel nord-est della Siria. L’area è nominalmente controllata dai curdi, ma la loro forza militare, le Forze Democratiche Siriane, Sdf, è stata costituita sotto l’egida degli Stati Uniti e conta su una presenza militare americana per garantire il suo territorio. Tale presenza militare sarà ora incaricata di proteggere una società americana dal governo del Paese in cui opera.

Pompeo ha confermato che i piani per impiantare l’azienda nel territorio statunitense sono «ora in fase di attuazione» e che potrebbero potenzialmente essere «molto potenti». Si tratta di un palese esempio neocoloniale, riporta Mpn.

Fino all’inizio del 2011, la Siria si era mantenuta fuori dall’orbita dell’influenza statunitense e aveva impedito alle società americane di penetrare nella sua economia per accedere ai suoi mercati e alle sue risorse.

Gli Stati Uniti, quindi, hanno iniziato presto a organizzare e supervisionare una militarizzazione della rivolta, e presto hanno cooptato il movimento insieme agli alleati Turchia, Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar. Ben presto, attraverso la sponsorizzazione di elementi estremisti, l’insurrezione è stata dominata da estremisti salafiti.

Secondo la Dia e i Capi di Stato Maggiore congiunti Usa, entro il 2013 «non c’è stata una valida opposizione “moderata” ad Assad e gli Stati Uniti stavano armando gli estremisti». Quando Daesh si separò da al-Qaeda e creò il proprio Califfato, gli Stati Uniti continuarono a pompare denaro e armi nell’insurrezione, anche se si sapeva che questi aiuti sarebbero andati nelle mani di Isis e di altri jihadisti. Gli alleati statunitensi sostenevano direttamente lo Stato Islamico.

L’allora segretario di Stato John Kerry ha rivelato che «stavamo guardando… e sappiamo che questo Isis stava crescendo… Abbiamo visto che Daesh stava crescendo in forza, e abbiamo pensato che Assad fosse minacciato. Pensavamo, tuttavia, che probabilmente ce l’avremmo fatta – che Assad avrebbe poi negoziato». Mentre Daesh stava facendo pressione su Damasco, gli Stati Uniti stavano facendo pressione su Assad perché si dimettesse e subentrasse un governo approvato dagli Stati Uniti. Poi, però, la Russia intervenne per evitare che Daesh prendesse il controllo del Paese e quindi la vitalità di Daesh come strumento di pressione sul governo Assad viene tutta consumata.

Fu così attuata una nuova strategia: invece di permettere alla Russia e alla Siria di riprendersi i territori che Daesh aveva conquistato durante la guerra, gli Stati Uniti avrebbero usato la minaccia di Isis come scusa per prendere quei territori prima che potessero farlo. Gli Usa si sono alleati con le milizie curde in questa impresa e le hanno sostenute con attacchi aerei.

La strategia era stata concepita principalmente per permettere a Isis di fuggire e di lottare contro la Siria e la Russia, lasciando “una via di fuga per i militanti” o attraverso accordi che sono stati fatti e con cui l’ISIS ha accettato volontariamente di cedere il suo territorio. I militanti sono stati poi in grado di fuggire e di andare a scatenare il caos contro i nemici dell’America in Siria. È interessante notare che, per quanto riguarda i giacimenti petroliferi che ora vengono consegnati a una società americana, gli Stati Uniti hanno a malapena combattuto contro Daesh per ottenerne il controllo: Isis li ha semplicemente consegnati.

La Siria e la Russia si stavano rapidamente avvicinando ai giacimenti controllati dal Califfato, così gli Stati Uniti hanno stretto un accordo tra i curdi e l’ISIS per rinunciare al controllo della città. Isis si è ritirata da più di 28 villaggi e giacimenti di petrolio e gas ad est del fiume Eufrate, consegnandoli alle forze curdo-americane in seguito ad un accordo. Negando a Damasco l’accesso alla Siria del Nord e controllando metà delle risorse energetiche siriane, gli Stati Uniti sono in grado di mantenere povera la Siria e di negare all’Iran e alla Russia i frutti della loro vittoria.

Questa è la storia con cui un’azienda americana è riuscita ad assicurarsi un contratto per l’estrazione di petrolio in Siria. E mentre le risorse effettivamente ottenute non avranno molto valore (la Siria ha solo lo 0,1% delle riserve petrolifere mondiali), la presenza di una compagnia americana servirà probabilmente come giustificazione per mantenere una presenza militare statunitense nella regione.

Graziella Giangiulio