
Mentre la Siria continua a essere un punto nevralgico dell’equilibrio mediorientale, Israele porta avanti in parallelo colloqui tecnici con la Turchia e negoziati indiretti con la Siria, con la mediazione degli Emirati Arabi Uniti. Al centro del confronto ci sono la presenza militare turca in territorio siriano, le condizioni per la sicurezza israeliana e la ricostruzione di relazioni diplomatiche in un contesto segnato da crisi economica, tensioni regionali e ridefinizioni strategiche.
Terzo round di colloqui tecnici per de-escalation tra Israele e Turchia in Azerbaigian
Secondo quanto riportato dall’emittente radiotelevisiva israeliana Makan, un terzo round di negoziati tra Turchia e Israele si sarebbe tenuto, giovedì 8 maggio, nella capitale dell’Azerbaijan, Baku, con la partecipazione di alti funzionari, in un contesto di crescenti tensioni in Siria sul ruolo militare turco nel paese.
Ankara prevede di istituire sette basi militari in vaste zone siriane. Una delle più importanti è la base Tiyas (nota anche come T4) nei pressi di Palmira, nella Badiyah siriana, dove l’esercito turco si sta preparando a dispiegare un sistema di difesa aerea S-400 e Hisar-O+ per fornire copertura aerea all’esercito siriano. La base sarà poi ristrutturata ed ampliata, con la costruzione di nuove strutture e l’impiego di droni per la sorveglianza e l’attacco, alcuni con capacità di attacco a corto, medio e lungo raggio (Akinci e Aksungur). Il controllo della base garantirebbe alla Turchia la superiorità aerea nella regione e rafforzerebbe le sue operazioni contro le cellule dell’ISIS dispiegate nel deserto siriano, condizione fondamentale affinché gli Stati Uniti possano prendere in considerazione un ritiro dalla regione. Dall’altra parte, gli Stati Uniti potrebbero rafforzare la loro alleanza con la Turchia, membro della NATO, che sta consolidando la sua presenza militare nella regione della Badiyah siriana, un’area strategica per la protezione dello spazio aereo regionale e per il lancio di attacchi contro attori esterni.
Durante i primi colloqui a Baku, ad aprile, la Turchia aveva informato Israele di essere presente in Siria solo su richiesta di Damasco per rafforzare le capacità di difesa del nuovo esercito siriano e supportarlo nella lotta al terrorismo. Gli israeliani, da parte loro, avevano affermato di aver chiarito alla Turchia che la modifica dell’attuale distribuzione delle forze straniere in Siria, in particolare l’istituzione di basi turche nella regione di Palmira, è considerata una “linea rossa” e che la responsabilità di impedire qualsiasi minaccia a Israele dalla Siria ricade sul nuovo governo di Damasco. Ankara aveva controbattuto invitando Tel Aviv a cessare immediatamente i suoi continui attacchi “provocatori” volti a minare l’integrità territoriale della Siria e a destabilizzarne la sicurezza e la stabilità, anche della regione. Così, il primo round di colloqui Turchia-Israele in Azerbaigian sulla questione Siria si era concluso senza alcuna intesa, secondo quanto riportato da Israeli Broadcasting Corporation. Tuttavia, entrambe le parti avevano concordato un secondo round di negoziati che si è tenuto il 19 aprile, sempre a Baku, in Azerbaigian. Dopo i fallimenti di questo secondo ciclo di trattative, le due parti avevano concordato di rinviare il terzo round di colloqui dopo le festività pasquali.
Durante il terzo round di colloqui, fonti a Makan hanno rivelato che Israele intende presentare due richieste principali alla controparte turca:
1. Assenza di una forza militare che minacci Israele vicino al confine con la Siria
2. Assenza di armi strategiche in Siria che potrebbero minacciare la sicurezza israeliana
Tuttavia, è probabile che la Turchia respingerà tali richieste considerandole in contrasto con la sua visione espansionista e con l’ambizione di consolidare il proprio prestigio regionale, specialmente dopo i successi riportati in Siria.
Colloqui segreti tra Israele e Siria: mediazione degli Emirati Arabi Uniti
Gli Emirati Arabi Uniti stanno silenziosamente facilitando i colloqui indiretti tra Israele e Siria, concentrandosi su questioni di sicurezza e intelligence, hanno rivelato fonti alla Reuters mercoledì 7 maggio. I colloqui coinvolgono funzionari degli Emirati Arabi Uniti, della Siria ed ex funzionari dell’intelligence israeliana e, al momento, si limitano a questioni di antiterrorismo e sicurezza. Questa iniziativa segreta, iniziata poco dopo la visita del presidente siriano al Sharaa negli EAU ad aprile, mira ad allentare le tensioni in seguito ai continui attacchi israeliani in Siria.
In una conferenza stampa a Parigi con il suo omologo francese, Emmanuel Macron, mercoledì 7 maggio, il presidente siriano al Sharaa ha confermato che sono in corso negoziati indiretti tra Damasco e Tel Aviv per de-escalation della situazione ed evitare che degeneri in una spirale incontrollata. “Stiamo cercando di parlare con tutti i paesi che hanno contatti con la parte israeliana per fare pressione su di loro”, ha affermato al Sharaa. Inoltre, il Presidente siriano ha descritto i recenti bombardamenti israeliani – uno dei quali è caduto vicino al palazzo presidenziale a Damasco- come “arbitrari”, invitandolo a rispettare l’accordo del 1974 e chiedendo alla comunità internazionale di intervenire per fermarli.
L’apertura siriana al dialogo con gli israeliani solleva delle perplessità. Ci si interroga in particolare sui motivi che spingono Damasco a ristabilire contatti e normalizzare i rapporti con Tel Aviv, nonostante il piano di Netanyahu miri ad indebolire e dividere la Siria sfruttando l’eterogeneità delle componenti etniche e settarie presenti nel paese (da qui il suo supporto ai drusi nei recenti scontri con le forze di governo a Suwayda e Damasco). Al di là del consistente contribuito di Tel Aviv ad HTS nel rovesciare il regime di Assad, il principio guida della politica estera del governo ad interim siriano si fonda sulla costruzione di relazioni pacifiche con tutti i Paesi vicini, in quanto il popolo siriano sta affrontando una grave crisi economica, aggravata da una seria carenza di gas e petrolio a seguito della caduta del governo di Assad che si riforniva dal suo alleato iraniano (vuoto colmato ora dai Paesi del Golfo insieme alla Turchia). Nel tentativo di ricevere aiuti economico-finanziari dai Paesi regionali e occidentali, al Sharaa di ripulire la propria immagine dal passato jihadista, per trasmettere agli investitori un profilo affidabile e credibile. In questo contesto, si inserisce l’adozione di un atteggiamento moderato nella gestione degli affari interni ed esterni. Al livello interno, al Sharaa mira ad estendere il suo consenso politico affinché, nelle elezioni previste tra quattro-cinque anni, possa essere scelto direttamente dal popolo siriano.
Alla luce dei recenti sviluppi nelle relazioni tra USA-Israele, sorge un interrogativo cruciale: le tensioni tra Netanyahu e Washington – acuite dal sostegno dell’amministrazione Trump alla presenza turca in Siria e dalla percezione che gli Stati Uniti stiano lasciando campo libero ad Ankara – potrebbero spingere Israele verso un cambio di approccio nella gestione del dossier siriano?
Cristina Uccello
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