Il Metal siriano suona sotto le bombe

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SIRIA – Damasco 30/08/2013. Anche in Siria, come nei paesi arabi al centro della Primavera araba, esiste una ricca scena musicale hard & heavy  che si esibisce nonostante il dramma che il paese sta vivendo.

Tre ragazzi di Damasco, renitenti alla leva nel 2011 e per questo fuggiti a Beirut hanno formato il gruppo Tanjaret daghet cioè “pentola a pressione” in arabo.  180 degrees èi l titolo del loro primo album e Taht El Daghet (sotto pressione), lanciato è il loro singolo che descrive lo stato della Siria. Nella breve presentazione del video su Youtube, così presentano il brano: «La strage in tutto il mondo arabo continua. Il piano per rubare le nostre risorse, cambiare le nostre identità e costringerci ad accettare un’amara realtà, sta avendo successo. Sotto pressione (Taht El Daghet) è  il nostro perpetuo stato mentale. Speriamo in giorni migliori».

Aspetto grunge, ma musicalità indie il video, rigorosamente cantato in arabo, è intrigante, ben girato e dalle sonorità accattivanti. I Tanjaret daghet sono stati una delle band headliner al Beirut sul Festival Ground il 25 agosto. Pur essendo contrari al regime e delusi da come si sta evolvendo il movimento rivoluzionario in Siria, non si definiscono musicisti rivoluzionari «Cantiamo contro al-Assad. Abbiamo espresso nelle canzoni come si vive in Siria e perché ci siamo trasferiti». Lasciare la Siria non ha portato molto sollievo alla band, poiché sanno che l’intelligence siriana sta monitorando le comunità siriane in Libano e sono preoccupati costantemente per i loro parenti.

La pressione sul gruppo non è iniziata con la rivolta. Il loro amore per il rock e il metal è sempre stato una passione coltivata in segreto. «In Siria , non abbiamo diritti come musicisti», dicono «È necessaria l’autorizzazione per esibirsi e tutto ciò che non piace al regime, è illegale». Quando rock e heavy metal hanno iniziato a diventare generi musicali degni di nota in Siria, il regime divenne sospettoso: le autorità hanno fatto una grande retata il 6 giugno 2006 (6/6/6, cioè il biblico numero della Bestia), arrestando tutti gli  uomini con i capelli lunghi o quelli che indossavano magliette nere, con l’accusa di essere satanisti, mente i fan techno sono stati accusati di essere tossicodipendenti; proprio come accadde in Tunisia e in Egitto. Dopo cinque ore di interrogatorio, si veniva costretti a firmare un documento giurando di non ascoltare heavy metal. Nonostante le intimidazioni e la guerra, vi è oggi una pietra significativa e la scena metal in Siria. Metallum, enciclopedia on line dell’heavy metal (www..metal-archives.com) elenca 22 gruppi siriani, presenti nella scena musicale di Damasco e di Aleppo, ma la realtà è diversa: su The Syrian Metal Magazine ne risultano di più, e ci sarebbero in giro un «un sacco di metallari». Lo stesso magazine, poi, ha lanciato una gara tra band metal arabe: la Arab Metal Competition per vedere quale sua la migliore. Ci sono gli Euphrates, che suonano un genere da loro definito Oriental Black Metal, gli Anarchadia, che dedicano il loro primo album al movimento Occupy, i Gene, i Netherion, gli Eulen e i Brotherhood, il cui singer è una donna; si va, insomma, dal goth al doom al trash. Per gli Haunted Cellar da Latakia, città che ospita tutte le fazioni in lotta, il doom metal è «una fuga dalla oppressione della vita», cantano questo i 4 ragazzi che si sono esibiti il 22 agosto nella città siriana. Anche in Siria, esattamente come accadeva in Egitto, l’abbigliamento metal è oggetto di critiche e rimostranze della società civile. Il gruppo afferma di «ignorare la merda politica perché crediamo nella musica», sicuri che chiunque vinca la guerra per il metal saranno tempi duri lo stesso.

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