“Le forze dell’Inferno” parlano della guerra in Siria

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SIRIA – Homs. 18/01/15. Ogni volta che ho attraversato il confine della Siria, ho avuto la sensazione di entrare in un paese conosciuto. Il paesaggio, la vegetazione sono molto simili alla mia terra con la macchia mediterranea, il territorio brullo e il profumo di fiori selvatici.

Il popolo ha le stesse caratteristiche di ospitalità, con il giusto equilibrio di riservatezza e rispetto che non sono venute meno neppure durante questo lungo periodo di guerra che sta ferendo questa terra. Devo dire che però mi ha subito riportato alla realtà il rumore dei colpi di mortaio e delle mitragliatrici così come la vista, lungo le strade, di macerie delle battaglie, l’esercito che presidia città e campagne, posti di blocco, carri armati ma soprattutto tante persone costrette a fuggire dai luoghi ancora in mano ai vari gruppi di combattenti, che si identificano senza ombra di dubbio nello Stato Islamico al Fronte al-Nusra o ad altri, che seguono questo o quell’altro capo, distribuiti a macchia di leopardo (secondo alcuni esponenti politici e militari se ne contano un centinaio provenienti da altrettanti paesi esteri, Europa compresa). Andare nelle zone interne è molto complicato, oltre che pericoloso, in quanto ci sono zone fuori controllo e armati o meno non si può correre il rischio di finire nelle mani di persone senza scrupoli, la cui ferocia è ormai diventata nota ed è necessario sapersi muovere con cautela. Ogni movimento va studiato e verificato e alle volte è più consigliato, ove possibile, muoversi utilizzando voli interni. Per cercare di comprendere come e dove si combatta, grazie ad un contatto locale siamo riusciti ad organizzare un incontro con un combattente che certo si muove sul territorio siriano con sicurezza e capacità, ma gli accordi erano che non potevamo conoscere il luogo e l’ora dell’incontro in anticipo, non potevamo fotografarlo in volto per non mettere in pericolo la vita dei suoi famigliari, oltre alla sua naturalmente. La guerra qui si combatte sul serio, non si tratta di attacchi terroristici mirati, ma continui e organizzati. Quell’esercito libero siriano, nato per la liberazione della Siria si è trasformato in compagine bellica organizzata e armata quasi meglio dell’esercito regolare. Da dove arrivano le armi e soprattutto da chi sono finanziati? Da chi sono formati e in quali campi di addestramento i militanti hanno raggiunto un livello di preparazione così efficace? Rispondere a queste domande come sappiamo è articolato e sarà argomento di altra trattazione, anche se ad alcune in qualche modo risponderà il nostro interlocutore. Finalmente arriva il momento, si sale in macchina e raggiungiamo una zona intorno a Damasco dove lui, chiaramente giunge dopo un po’ di tempo; lui vive una vita normale ma per i suoi incarichi, che non ci svelerà, è abituato a proteggere il suo anonimato. Appena entar mi saluta calorosamente, si scusa per l’attesa, entra subito in empatia sorridendo e parlando della sua famiglia. Quando accendo il registratore lui abbassa la voce perché neanche questa possa essere riconosciuta, sorridiamo perché già so che non risponderà alla mia domanda:
M: Quale è il suo nome? Infatti la sua risposta è: “Noi siamo le forze dell’Inferno.” Un modo semplice per eludere la domanda e al contempo ricordarmi che non potrà rispondere a domande che potrebbero identificarlo e consentire ai militanti di individuarlo e ucciderlo, perché da tempo lui è ricercato dai gruppi di terroristi. Che non sia un politico lo dimostra il fatto che non usa tante parole, risponde in maniera diretta e, questo è l’unico lusso che mi permetto, sincera i suoi occhi non si perdono nella stanza cercando risposte diplomatiche ad ogni quesito mi guarda dritto negli occhi senza esitazione.

M: Per chi combattete?
C: «Io prima di tutto appartengo alla società civile e sono un membro della Religione, della Comunità alawita. Viviamo una vita normale, con un pensiero democratico e auspichiamo di arrivare all’uguaglianza con tutte le creature. Purtroppo è successa una cosa straordinaria a livello internazionale che ci ha impauriti terrorizzati: un corpo estraneo si è insinuato nel nostro paese, che non accetta di vivere con nessuno. Ha cominciato a uccidere la popolazione civile, ha sgozzato i bambini, ha preso le donne in ostaggio e le ha violentate, ha molestato molta gente perciò è mio dovere appoggiare e combattere per il mio popolo. Abbiamo iniziato con un gruppo per contrastare ISIS e il Fronte al-Nusra, sin dall’inizio abbiamo avvertito il loro pericolo sia sulla nostra comunità, che a livello internazionale. Non siamo mossi da un motivo religioso, siamo animati da un interesse umano, e ciò che pensavamo è stato dimostrato da quanto sta accadendo oggi. Sono riusciti a portare la guerra in Siria che ha preso una falsa piega, mascherata da una parola di cui si fa abuso: democrazia, per il cambiamento del regime. Hanno cominciato a distruggere le infrastrutture della società e l’aggressione è iniziata a tutti i livelli della società di qualsiasi etnia o religione. Il nostro dovere umano e umanitario, visto che loro usano al religione come scusa, è quello di correggere questa ipocrisia e così è iniziato il confronto e la resistenza. Hanno iniziato la guerra a Homs con la veste religiosa, hanno voluto terrorizzare tutti e visto che il regime ha ritardato ad affrontarli siamo stati costretti, in questa fase, a difenderci da soli. Quello che siamo stati obbligati a subire non poteva lasciarci indifferenti: abbiamo visto le donne schiavizzate nude nei mercati, abbiamo visto sgozzare uomini e anche bambini; dovevamo difendere i nostri figli e la nostra gente. Grazie a Dio abbiamo siamo riusciti a rispedirli indietro e da subito abbiamo notato che i loro combattimenti erano ben pianificati e guerriglieri erano ben addestrati. Sbagliate se pensate che si tratti di gruppi buttati all’avventura, questi sono ben organizzati, altrimenti non avrebbero potuto ottenere questi risultati. Noi abbiamo combattuto contro personaggi ben formati, con armi di alta tecnologia che hanno iniziato i disordini in tutta la Siria: da Homs ad Aleppo, alla Lattakia a Damasco (Shams). Continueremo sino all’ultima goccia di sangue del nostro corpo per difendere la nostra gente i nostri bambini, non solo vogliamo proteggere anche la civiltà di tutti gli uomini. È terminato il tempo di parlare con ISIS e il Fronte di al-Nusra e abbiamo iniziato a fare sul serio. Siamo giunti alla determinazione o loro o noi e non c’è altro mezzo e non c’è nessuna possibilità di arretrare di un millimetro. Il futuro dell’umanità è sotto le nostra volontà, se Dio vuole non tradiremo i nostri martiri per questa causa, ne la libertà e la democrazia».

M: Perché si deve nascondere e da chi?
C: «Non ho paura di niente e di nessuno, ma fa parte dello stile dell’organizzazione per proseguire la strada che abbiamo iniziato, perché lavorare militarmente necessita di agire nell’ombra, non devono sapere chi siamo».

M: Quando gira per strada potrebbero riconoscerla?
C: «Io cambio veste e aspetto in continuazione».

M: Se dovessero proporre domani un tavolo di trattative di pace siederebbe a questo tavolo?
C: «Io mi siedo con tutti coloro che non hanno ucciso innocenti in questo paese, perdoniamo qualsiasi errore al di fuori di questo. Questa patria è per tutti, appartiene a tutti e tutto, ma non per gli assassini».

M: Lei è un combattente conosce molto bene la situazione della Siria quanto tempo ci vorrà per stabilizzare la situazione?
«Prima di tutto noi possediamo i mezzi ideologici, i pensieri, le motivazioni e anche la giusta causa per cui, se Dio vuole, ci porterà alla vittoria, di questo sono certo. Abbiamo poi tanti ragazzi che crescono militarmente, nell’esercito della Repubblica Siriana; il nostro popolo è fondato su un mosaico di religioni ed etnie e malgrado il numero massiccio di questo mondo altro e l’alta tecnologia che possiedono siamo riusciti, attraverso i nostri ufficiali e la fedeltà della popolazione a fermare i loro attacchi nonostante la distruzione delle nostre infrastrutture. Siamo passati dalla fase della difesa a quella delle operazioni speciali. Siamo entrati nella periferia di Aleppo, nella strada che va da Hama ad Aleppo, poi la zona di Khanaser arrivando a Sfire e in altre zone attraverso operazioni molto chirurgiche; alla lunga questo sta dimostrando che il popolo e l’esercito sono in grado di difendere la loro terra. Sicuramente partiamo dalle operazioni militari, a seconda di quello che occorre all’obiettivo politico, perché è importante comprendere che vi è coesione tra le operazioni militari e una politica di larghe vedute, perché la nostra guerra è contro ISIS e il Fronte di Al-Nusra, abile giocatore internazionale e in base a questo ci muoviamo sul campo militare. Camminiamo molto sicuri di noi perché orami siamo professionisti in questa guerra e abbiamo anche una grande fede nella vittoria, insha’Allah».

M: Combatte a fianco dell’esercito siriano?
C: «Con tanto onore».

M: Come potrebbe spiegare questa guerra all’Occidente?
C: «Noi guardiamo all’Europa come ad una sorgente della libertà, però abbiamo un’immagine umana e generale, io mi rivolgo a tutti i popoli europei per dire loro che noi siamo persone che credono nella libertà dell’uomo. In questa nostra epoca il mondo si è diviso in due da una parte coloro che amano il bene e la libertà degli altri, dall’altra quelli altri che sono sicuramente deviati. Noi vogliamo andare al di sopra dei confini geografici, ci consideriamo abitanti del mondo. La nostra identità, la nostra patria è l’umanità noi invochiamo la libertà e l’amore fra le persone perché Dio il Glorioso guarda il cuore non le lingue, la nostra forza è l’umanità, che appartiene ad europei e non, per decidere il futuro delle nuove generazioni. Peranto la scelta è una o il bene e l’amore oppure ISIS e il male».

M: Lei è anche un uomo di religione si può unire la religione e la guerra?
C: «La religione non è un semplice parola che viene pronunciata, la religione è amore. Noi non combattiamo perché amiamo uccidere e far scorrere il sangue, la religione è in netto contrasto con questa idea, però il male, il sangue, la violenza sulle donne, l’uccidere i bambini ci ha costretto ad intervenire per dare continuità alla nostra gente e appoggiare l’esercito. L’esercito che tradisce o non difende la propria patria è un’armata di traditori, l’uomo della religione è un messaggero di Dio su questa terra e il primo difensore del suo popolo, e il suo esempio è come quello dell’esercito. Se l’uomo di religione tradisce, se manca nel ruolo di protezione della propria gente è un traditore del messaggio di Dio».

M: Quindi è giusto essere sia uomo di religione che combattente?
C: «L’uomo di religione che combatte è un organizzatore su come si deve comportare un buon militare perché detta le regole affinchè non si risponda alla violenza con un’altra violenza gratuita, deve essere una risposta commisurata».

M: Lei conosce bene il colonnello “Tigre” ci racconta di questo militare tanto temuto dall’Isis?
C: «Il colonnello Tigre è un leader sul campo, non ha uguali e non solo sulla Siria ma su tutti gli eserciti di questo mondo; è un uomo di altissima intelligenza, uno stacanovista sul lavoro, non si ritira mai e non teme la morte. È un leone che attacca senza arretrare. L’ho visto nei momenti peggiori della nostra guerra, non riposa, non ha paura di nulla, non si tira indietro da qualsiasi operazione che ha disegnato, mai un passo indietro. Sul campo noi eravamo le forze di sfondamento, vivevano nel fango mentre avanzavamo sulla neve e anche quando riposavamo lui rimaneva sveglio per proteggere i suoi uomini. Sempre alla testa dell’attacco, durante una situazione grave ha fatto una testa di ponte insieme a un gruppo di pochi uomini dopo che l’esercito aveva dovuto arretrare su una posizione, nella zona di Khanasser, lui ha sfondato la linea e quando il nemico ha sentito che era lui a dirigere le operazioni scappava solo a sentire il suo nome. Abbiamo così potuto avanzare velocemente in un terreno molto ostile fino a prendere parecchie zone, fino ad Aleppo, liberando varie città».

M: Anche lei faceva parte della compagnia?
C: «Si ringrazio Dio per avermi dato l’opportunità di conoscere quest’uomo dell’esercito arabo siriano e ritengo che in futuro le sue tattiche faranno scuola ai militari sulle tecniche di avanzamento, molto simili a quelle utilizzate dalla Resistenza nel sud del Libano».

M: Dicono sia un uomo senza pietà è vero?
C: «È un uomo che  unisce i due estremi, è un uomo che rimane sveglio per difendere i suoi soldati ed è un uomo che combatte. Racconto questo fatto per farti comprendere chi sia il Colonnello Tigre: a causa della distruzione dei forni per il pane ad Aleppo, da parte del Fronte al-Nusra intenzionato ad affamare la popolazione, il pezzo è salito sino a 1500 lire siriane al sacchetto. Quando abbiamo liberato la città di al-Safirah il colonnello Tigre la prima cosa che ha chiesto è di mettere in funzione il forno, ha preso tutti i tecnici e nel giro di 24 ore la produzione del pane è ripresa e il prezzo e tornato a 15 lire. Lui ha considerato questa una vittoria per l’esercito siriano sulla guerra del pane condotta dall’ISIS contro la popolazione».

M: I combattenti Hezbollah combattono insieme a voi?
C: «Noi, come ho detto prima, siamo usciti dai confini geografici. La nostra patria è l’umanità noi appoggiamo tutti coloro che hanno una giusta causa che deve essere basata sulla giustizia e sull’umanità. Con tutti i nostri compagni che combattono con noi alziamo una sola bandiera quella del futuro dell’umanità».

alessandra.mulas@gmail.com

Foto di Mauro Consilvio