SIRIA. Attori internazionali manipolano la crisi

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La persistenza della crisi siriana non è solo il prodotto di una guerra civile, di uno scontro tra attori interni portatori di interessi e rivendicazioni contrastanti. La crisi siriana immagazzina dispute geopolitiche di portata globale in continua evoluzione. Attraverso l’utilizzo di fonti social media, sono stati reperite prontamente importanti novità sull’influsso che attori internazionali esercitano in Siria per trarne vantaggi.

La prima notizia è seguita alla fuoriuscita di presunti documenti classificati statunitensi, attraverso cui è trapelato un forte interesse ucraino per la questione siriana. Sembra che l’intelligence ucraina volesse tenere maggiormente occupate le forze russe sullo scacchiere siriano. Le forze curde presenti in Siria, le Syrian Democratic Forces – SDF, ampiamente sostenute dagli Stati Uniti, ma completamente avversate dalla Turchia, sarebbero state la chiave di questo progetto. Le forze russe e quelle della milizia privata russa Wagner, presenti in Siria, avrebbero dovuto essere il bersaglio di attacchi curdi, su spinta ucraina. Tenere impegnata la Russia in Siria significava costringerla a dispiegare parte delle sue forze impegnate in Ucraina in Siria. Si presume che la Turchia fosse a conoscenza di questo piano, ma fino a che punto e per quale interesse avrebbe acconsentito a lasciar agire così liberamente le forze curde rimane ambiguo. Sebbene, secondo alcune fonti, il piano ucraino fosse stato già organizzato nell’autunno scorso, qualcosa è andato storto e questo malizioso progetto si è arrestato. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyj, ne avrebbe fermato l’attuazione su pressione degli Stati Uniti, impauriti di una maggiore instabilità mediorientale.

Gli Stati Uniti, infatti, sembrano perdere presa in Medio Oriente. L’Arabia Saudita sta spingendo affinché il governo siriano guidato da Bashar al Assad, osteggiato dagli Stati Uniti, venga accettato nuovamente nel mondo arabo. Il primo passo verso questo ritorno sarebbe la reintegrazione del governo Assad nella Lega Araba. Nonostante nei giorni scorsi si siano tenuti alcuni colloqui tra i paesi arabi per discutere di questa reintegrazione e delle condizioni necessarie per renderla accettabile, manca un consenso sulla questione. Qatar, Kuwait e Marocco sono i più ostili nei confronti del governo Assad. Qualche giorno fa il segretario generale della Lega Araba, Ahmed Aboul Gheit, ha spiegato che non è ancora giunto il momento del reintegro della Siria nella Lega, a meno che non venga convocata una riunione d’emergenza tra i ministri degli Affari esteri della Lega. La Giordania, d’altra parte, spinge per la creazione di un piano arabo congiunto per questo reintegro. È evidente che il mondo arabo deciderà da sé, senza troppe ingerenze. I paesi arabi hanno riconosciuto l’urgenza di un ruolo di leadership del mondo arabo nella risoluzione del conflitto siriano. Certo, questo non è affatto semplice, se si nota la presenza statunitense, russa e turca. E ancor più se si osservano le ingerenze iraniane, che si estrinsecano maggiormente in: forte impegno militare (numerose milizie filo-iraniane a supporto di quelle governative), accordi politici in espansione (si parla di un’imminente visita del presidente iraniano, Ebrahim Raisi, a Damasco) e pervasione culturale (estensione dell’impronta culturale iraniana in Siria). L’Iran, poi, trascina irrimediabilmente in Siria l’avversità con Israele.

Proprio Israele, a seguito di un suo recente attacco in Siria, nei pressi del Golan siriano, ha lanciato volantini, che sono ricaduti nelle aree di al Quanaytrah, sotto il controllo del governo Assad. Nei volantini si mettevano in guardia le forze governative dal cooperare con la milizia libanese filo-iraniana Hezbollah. Già domenica 29 aprile, sono stati rinnovati attacchi israeliani ai danni di siti di Hezbollah nella campagna siriana di Homs.

E poi c’è la Turchia. La Russia sta cercando di mediare tra le richieste turche e quelle del governo Assad, attraverso incontri tra le parti turche, siriane, russe e iraniane. Mentre Bashar al Assad chiede il completo ritiro delle forze turche dal territorio siriano, la Turchia risponde che una tale eventualità è da escludere, almeno per ora. Il ministro degli Affari esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha spiegato che due sono le preoccupazioni assillanti per la Turchia, scaturenti dal caos siriano: i curdi e i terroristi. Il fatto che la Turchia continui ad accettare di partecipare a questi incontri con la controparte siriana è comunque un aspetto positivo per lo sviluppo del dossier siriano. Tuttavia, questa scelta potrebbe essere dettata da un mero calcolo politico, legato alle imminenti elezioni presidenziali in Turchia. La battente presenza di siriani per la società turca, secondo alcune fonti, potrebbe essere alleviata da un accordo tra Siria e Turchia, che permetterebbe un progressivo rientro dei siriani, attualmente presenti in Turchia, nel loro paese natio. È anche vero che le industrie turche subirebbero, in questa eventualità comunque lontana, un bel contraccolpo dalla perdita di manodopera siriana.

E se, dato tutto questo tumulto di eventi, gli Stati Uniti fossero disposti a supportare, o almeno tollerare, i ribelli della salafita Hayat Tahrir al Sham – HTS? Il flusso di notizie lascia emergere che i leader di questi ribelli, che dominano la zona di Idlib, si siano esposti con la controparte statunitense, circa una possibile cooperazione. Quanto gli Stati Uniti siano disposti a stringere rapporti con i ribelli di HTS non è stato reso noto, ma sarebbe un ulteriore evento di ricalibratura dello scenario e un’ipotizzabile legittimazione di HTS in Occidente. Gli Stati Uniti sono stati al centro dell’attenzione per i raid anti-Daesh in Siria. Diversi leader di Daesh sono stati uccisi e arrestati recentemente, grazie alla collaborazione con le forse curde. Lo United States Central Command – CENTCOM aveva annunciato l’uccisione del leader Khalid Aydd Ahmad al Jabouri, avvenuta il 3 aprile 2023, e quella del leader Abd al Hadi Mahmud al Haji, avvenuta il 17 aprile, entrambi ritenuti responsabili della pianificazione di attacchi terroristici in Europa. In più nell’area di Raqqah, sono stati di recente sequestrati, in un deposito delle cellule di Daesh, beni con valore pari a circa un milione di dollari. Secondo gli Stati Uniti, il loro impegno nell’attività anti-terrorismo in Siria e la sicurezza delle proprie truppe sarebbero messe a repentaglio da alcune violazioni degli accordi con la Russia sul panorama siriano. Sono state confermate trasgressioni russe sui cieli siriani con incidenti tra le forze aeree russe e statunitensi, tra cui una violazione risalente al 27 novembre dello scorso anno, quando un missile russo avrebbe mancato per poco un drone statunitense. Nuovi rapporti mettono in luce anche violazioni dello spazio aereo statunitense in Siria, concordato tra le due parti, presso la base degli Stati Uniti ad al Tanf.

Infine, per chiudere il cerchio, la questione dei rifugiati siriani è tornata ancor più alla ribalta a seguito delle recenti “deportazioni” delle autorità libanesi. Il Libano sta riconsegnando moltissimi siriani, anche da molto tempo dimoranti in Libano, alle forze del governo Assad, abbandonandoli a violenze e vessazioni una volta rientrati in patria. Dopo settimane di parole d’intolleranza, proferite da autorità libanesi nei confronti dei siriani, ritenuti perturbatori della sicurezza libanese, si è arrivati ai fatti. E ora chi è scappato dalla Siria, è forzato a tornare.

Il flusso di notizie circolanti nei media e nelle piattaforme social dona un quadro di una Siria come strumento atto a risolvere crisi nate altrove, spingendo attori internazionali a canalizzare i propri problemi al di fuori dei loro confini. Il flagello continua a ricadere sulla popolazione siriana.

Marta Felici

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