
Nella sera del 22 giugno, il Ministero degli Interni siriano ha annunciato in una dichiarazione su Facebook che un attentatore suicida affiliato allo Stato Islamico è entrato nella chiesa greca ortodossa di Sant’Elia nel quartiere Dwel’a della capitale Damasco, durante la funzione di preghiera cristiana settimanale, a cui hanno partecipato circa 200 persone, ha aperto il fuoco e poi si è fatto esplodere con un giubbotto esplosivo. Secondo il bilancio definitivo, pubblicato dall’Agenzia di stampa nazionale SANA e diffuso dal Ministero della Salute, sono stati registrati 25 morti e 63 i feriti.
Dopo aver espresso le sue condoglianze e una pronta guarigione ai feriti, il presidente Ahmad al-Sharaa ha dichiarato che “questo crimine efferato che ha preso di mira persone innocenti nei loro luoghi di culto ci ricorda l’importanza della solidarietà e dell’unità, del governo e del popolo, di fronte a tutto ciò che minaccia la sicurezza e la stabilità della patria. Oggi siamo uniti, rifiutiamo il crimine in tutte le sue forme e promettiamo ai familiari delle vittime che continueremo giorno e notte a mobilitare tutte le nostre forze di sicurezza per arrestare tutti coloro che hanno partecipato e pianificato questo crimine efferato e consegnarli alla giustizia affinché ricevano la giusta punizione”.
Fin da subito e quindi prima ancora di aver effettuato delle indagini accurate, il governo di Damasco ha attribuito la responsabilità di questo atto estremista ad una cellula di Daesh. Al contempo, però, l’Osservatorio siriano per i diritti umani ha appreso che uno degli autori dell’attentato terroristico era tra i feriti trasportati all’ospedale Al-Mujtahid. In seguito è emerso che si trattava di un membro del Ministero della Difesa siriano e originario della provincia di Deir ez-Zor. Il giorno successivo, dopo l’identificazione del sospettato, il portavoce del Ministero dell’Interno, Noureddine al-Baba, ha annunciato un’operazione qualitativa condotta dal Ministero dell’Interno, sotto la diretta supervisione del generale di brigata Hussam al-Tahhan e in collaborazione con il Servizio di Intelligence Generale. L’operazione ha preso di mira i nascondigli dell’ISIS a Damasco e nelle sue campagne.
Tra i nascondigli presi di mira c’era anche quello della cellula che ha attaccato la chiesa di Sant’Elia. Il ministro degli Interni Anas Khattab tramite la piattaforma X ha spiegato che, sulla base delle informazioni iniziali e in coordinamento con il Servizio di intelligence generale, le unità di sicurezza hanno condotto operazioni precise ad Harasta e Kafr Batna prendendo di mira i siti delle cellule terroristiche legate all’organizzazione dello Stato Islamico. Queste operazioni hanno provocato scontri durante i quali sono stati arrestati il capo della cellula e cinque membri, oltre all’uccisione di due persone, una delle quali era la persona principale coinvolta nel facilitare l’ingresso dell’attentatore suicida nella chiesa, mentre l’altra si stava preparando a compiere un atto terroristico in uno dei quartieri della capitale. Durante il raid, sono state sequestrate grandi quantità di armi e munizioni, oltre a giubbotti esplosivi e mine.
È stata trovata anche una motocicletta con trappola esplosiva, preparata per essere fatta detonare in un tempio sciita nella città di Sayyida Zaynab a sud della capitale. Il portavoce del Ministero dell’Interno ha spiegato che gli autori dell’attentato provengono dal campo di al-Hawl. Il leader della cellula si chiama Muhammad Abdul-Ilah al-Jumaili, un residente della zona di al-Hajar al-Aswad a Damasco. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha ottenuto una registrazione audio attribuita al fratello di Muhammad al Jumaili, che includeva una smentita delle accuse contro il detenuto, con il fratello che sosteneva che non siano basate su alcuna prova tangibile. Ha chiesto un’indagine equa e trasparente per scoprire la verità sull’accaduto. I parenti di Al-Jumaili hanno pubblicamente negato qualsiasi coinvolgimento dell’uomo con l’ISIS o altri gruppi. Hanno dichiarato che vive con la sua famiglia a Idlib dal 2016 e il giorno dell’attacco si era recato a Damasco per far visita alla sorella. Lì, al-Jumaili è stato arrestato dalle forze di sicurezza del governo, che hanno riferito che aveva ammesso la sua colpevolezza.
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, l’ideologia jihadista estremista starebbe penetrando nelle istituzioni dello Stato siriano, tra cui il Ministero della Difesa, con membri al suo interno che abbracciano questa ideologia, tra cui i combattenti stranieri che erano tra le fila di HTS e di altri gruppi armati dell’opposizione, e che ora sono stati arruolati nelle forze regolari con la giustificazione di evitare un malcontento tra i militanti che avrebbe potuto portare ad un loro giuramento allo Stato Islamico. La piena responsabilità è, dunque, da attribuire al presidente al Sharaa perché bisogna ricordarsi che, subito dopo la liberazione della Siria dal regime di Assad, durante i festeggiamenti, tra le fila di HTS erano comparsi simboli jihadisti. Al contempo, fonti dell’intelligence turca hanno indicato che dietro l’attentato di Damasco c’è la milizia Qandil, ovvero il PKK. Tuttavia, questa versione potrebbe essere fuorviante in virtù dei noti interessi turchi in Siria.
Ad ogni modo, la Brigata jihadista salafita Saraya Ansar al-Sunnah ha rivendicato la responsabilità dell’attacco in una dichiarazione rilasciata martedì 24 giugno, indicando come autore un suo combattente Mohammed Zein al-Abidin. La dichiarazione ha anche affermato che l’attacco è avvenuto “in risposta alle provocazioni rivolte contro la Da’wa e i suoi seguaci dai cristiani di Damasco”, riferendosi a un precedente incidente nello stesso quartiere a seguito di una lite con un veicolo della Da’wa (movimenti e organizzazioni che invitano le persone ad avvicinarsi all’Islam). Secondo la dichiarazione, la fazione ha minacciato di compiere ulteriori attacchi suicidi, ha confermato la prontezza dei suoi membri e ha annunciato quella che ha descritto come “apertura della porta al pentimento” per chiunque prenda l’iniziativa “prima che sia troppo tardi”. Ha anche promesso che un attacco simile a quello della chiesa di Sant’Elia verrà replicato presto in Libano con conseguenze di vasta portata. Il gruppo ha inoltre accusato il governo di al Sharaa di mentire, affermando di aver attribuito l’attacco allo Stato Islamico senza prove. A tal proposito, è interessante notare che online è apparsa anche una rivendicazione a nome dell’ISIS, in cui il gruppo si sarebbe assunto la responsabilità dell’attacco terroristico. Tuttavia, l’immagine è falsa, perché le fonti ufficiali non hanno pubblicato alcun resoconto riguardante gli eventi in Siria. Inoltre, la contraffazione indica in modo errato la regione in cui è avvenuto l’attacco e contiene una serie di altre caratteristiche che non sono tipiche di tali dichiarazioni da parte dello Stato Islamico. È legittimo porsi se è possibile che i propagandisti di al-Sharaa siano stati coinvolti nella creazione della falsa dichiarazione; probabilmente per celare la diffusione dell’ideologia jihadista salafita tra i militanti dei gruppi dell’opposizione, che ora fanno parte del nuovo esercito siriano?
Chi è la Saraya Ansar al Sunnah?
La Brigata Saraya Ansar al Sunnah, di matrice jihadista salafita operante in Siria e Libano, è un gruppo creato il 1° febbraio 2025 nello Stato Siriano da Abu Aisha Al-Shami, che ha lasciato Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) dopo aver percepito al Jawlani troppo indulgente nei confronti dei musulmani sciiti e degli alawiti, cristiani e drusi. Lo stesso giorno ha rivendicato la responsabilità di un attacco al villaggio di Arzah, nella campagna di Hama, in cui hanno perso la vita 12 alawiti.
Invero, il capo della Divisione Sharia della Saraya Ansar al Sunnah, Al Shami, ha dichiarato che l’organizzazione militante era stata già creata in segreto a Idlib prima del rovesciamento del regime di Assad; ma che solo successivamente è uscita dalla segretezza per prendere le distanze dal governo siriano di Ahmad al Sharaa considerato un traditore della Sharia e, dunque, per esortare ad una rivolta contro di lui. Ansar al Sunnah è formata da membri disertori di HTS che accusano al Sharaa di aver abbandonato le sue idee originali di costruire uno Stato Islamico. Infatti, il gruppo aderisce alle posizioni ideologiche di Daesh, sebbene non ne abbia ancora riconosciuto ufficialmente il califfato, nel senso che non ha giurato fedeltà ad esso, ma al contempo non esclude una possibilità futura.
La fazione è suddivisa in numerose cellule, composte da 5 a 12 militanti e sparse in tutti i governatorati della Siria. Non dispongono, dunque, di quartieri generali o avamposti militari. Seguono, inoltre, un principio di segretezza per cui, spesso, i militanti non si conoscono tra loro.
Riguardo alle loro attività belliche, i militanti della Ansar al Sunnah hanno preso parte al conflitto scoppiato nelle città di Ashrafiya Sahnaya e Jaramana, nella provincia di Damasco, lo scorso fine aprile, che aveva preso di mira membri della comunità drusa. Il motivo dell’attacco era una registrazione audio con insulti contro l’Islam, attribuito allo sceicco druso Marwan Kiwan, di origine di Jaramana. I militanti estremisti di HTS avevano aperto il fuoco contro diversi obiettivi appartenenti alla comunità drusa. In risposta, i combattenti della milizia drusa avevano attaccato i posti di blocco e il quartier generale del Servizio di sicurezza generale controllato da Damasco. Contemporaneamente, erano arrivati in città i militanti del gruppo Saraya Ansar al-Sunnah, che avevano già annunciato l’esecuzione di diversi rappresentanti della minoranza drusa promettendo di organizzare una pulizia etnica contro i drusi nella città, simile a quanto era già accaduto sulla costa siriana lo scorso marzo. La Brigata Ansar al Sunnah è altresì responsabile di numerosi omicidi che avvengono, quasi quotidianamente, in diverse città siriane nei confronti di ex membri alawiti del governo di Assad, o presunti tali, e di atti di profanazione di luoghi e simboli sciiti e cristiani. Il gruppo si pone come obiettivo principale di continuare gli attacchi contro gli alawiti e sciiti, nonché le minoranze etniche, fino a quando non saranno eliminati dalla Siria o espulsi fuori dal territorio siriano.
Cristina Uccello
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