
Negli ultimi giorni le forze turche hanno portato avanti numerose azioni militari nel nord-est della Siria, dirette principalmente contri obiettivi curdi, ma che non hanno lasciato illese neanche le forze del governo siriano.
Dopo le elezioni presidenziali turche, la Turchia ha progressivamente aumentato i suoi bombardamenti in Siria, colpendo sia le forze curde che quelle governative. In questi giorni le forze del governo hanno risposto agli attacchi e hanno portato numerosi rinforzi militari nelle zone a nord di Aleppo.
Anche le SDF, Syrian Democratic Forces (SDF), ombrello militare dell’Amministrazione autonoma del Nord e dell’Est (AANES), autoproclamata regione a maggioranza curda in Siria, stanno cercando di far fronte agli attacchi turchi. Prima delle elezioni in Turchia, la situazione era relativamente calma, ma dopo il rinnovato mandato presidenziale turco di Recep Erdogan sono riprese le azioni militari e costantemente il Ministero della Difesa turco riporta delle neutralizzazioni di personalità curde, ritenute elementi terroristici e minacce per la sicurezza nazionale curda.
Proprio due settimane fa il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che va distinto dalle SDF, poneva fine al cessate il fuoco unilaterale con la Turchia a causa dell’escalation militare turca contro i curdi. Nel contempo, il portavoce del Dipartimento di Stato statunitense, Matthew Miller, ha esposto le preoccupazioni degli Stati Uniti per l’incremento di violenza nel nord della Siria e ha chiesto alle parti la deescalation per preservare la stabilità.
Se sia indiscutibile che per la Turchia le forze curde siano il principale bersaglio dei loro attuali attacchi, l’esercito turco non si è risparmiato di prendere di mira postazioni governative, né tantomeno di colpire un veicolo russo. Per tale ragione anche il governo siriano è stato costretto a spostare le proprie forze verso le aree colpite dai bombardamenti turchi, soprattutto nelle zone settentrionali di Aleppo, e a rispondere militarmente a questi attacchi.
Secondo alcuni l’incremento delle azioni militari turche era pronosticabile, dato che la pausa elettorale per le presidenziali turche richiedeva un momento di tranquillità nelle operazioni del nord-est della Siria, anche alla luce del dossier sui rifugiati siriani. Da parte curda, però, viene anche evidenziato che questi recenti attacchi turchi potrebbero essere una risposta alla decisione dell’AANES di processare numerosi affiliati di Daesh presenti nelle proprie regioni, poiché i processi metteranno in luce una collusione tra Turchia e cellule di Daesh.
Al di fuori di ogni motivazione contingente, la posizione anti-curda della Turchia non cambierà e questo avrà ripercussioni anche nei dialoghi tra Turchia e governo Assad, poiché la minaccia curda imporrà alla Turchia di rimane in territorio siriano. A tal proposito, mentre nel nord-est della Siria le azioni militari s’intensificavano, erano in corso i colloqui del processo di Astana, durante i quali si affrontava il tema della tabella di marcia per la normalizzazione dei rapporti tra governo siriano e Turchia. Già prima delle elezioni presidenziali in Turchia sembrava che questo avvicinamento tra Turchia e governo Assad, patrocinato dalla Russia e supportato dall’Iran, fosse una strada percorribile, sebbene la Russia abbia sempre sottolineato che l’accordo tra Turchia e governo siriano non sarebbe stato immediato, ma avrebbe richiesto tempi lunghi. Ciò è tanto più vero se si pensa che la normalizzazione dei rapporti tra le due parti è subordinata principalmente alla questione delle forze turche sul suolo siriano.
Mentre il governo siriano spiega che il ritiro delle truppe turche dalla Siria è imprescindibile per la normalizzazione dei rapporti con al Turchia, quest’ultima, d’altra parte, esclude un possibile ritiro delle sue forze al momento presente, a causa della presenza di elementi terroristici in Siria, che mettono a repentaglio la garanzia di sicurezza per nazione turca. La nuova postura del governo Assad a seguito del reintegro nella Lega Araba ha sicuramente rafforzato la sua posizione anche e soprattutto nei confronti degli attori interni allo scenario siriano, in primis verso i curdi. Se inizialmente l’AANES avevano accettato questo reintegro, vedendolo come un potenziale strumento per intavolare un dialogo con il governo siriano e per premere per un riconoscimento e un’istituzionalizzazione della propria autorità all’interno della Siria, oggi sembra che questo possibile dialogo tra curdi e governo Assad sia in una posizione di stallo. I curdi attribuiscono questo fallimento alle pressioni russe e iraniane, ma sicuramente anche le relazioni tra Turchia e governo Assad giocano un ruolo non indifferente.
La posizione della Turchia difficilmente cambierà nel breve termine, tuttavia i tentativi di normalizzare con il governo Assad con la mediazione di Russia e Iran apriranno a nuovi possibili scenari. Se questi tentatavi progrediranno verso accordi concreti potrà rivalutarsi il ruolo militare della Turchia in Siria e Iraq e il destino dei curdi potrebbe rimanere in balia di attori poco inclini a riconoscergli alcuna posizione. Questo sembra essere tanto più verso in relazione al quasi ininfluente ruolo degli Stati Uniti, sostenitori dell’AANES e delle SDF, nell’evoluzione dello scenario siriano, alla luce dei nuovi atteggiamenti degli attori regionali nei confronti del governo Assad. Da ultimo, ma non per importanza, il dossier dei rifugiati siriani presenti in Turchia potrà fungere da cartina al tornasole per gli sviluppi delle relazioni turco-siriane.
Marta Felici