Gli Emirati Arabi Uniti stanno aumentando costantemente il proprio impegno in Siria, dispiegando il proprio soft power sotto forma di aiuti umanitari e investimenti nell’industria dello spettacolo locale.
Nelle settimane del Ramadan sono stati distribuiti pacchi alimentari a Piazza Marjeh nel centro di Damasco con l’emblema degli Emirati Arabi Uniti. Sul camion che li trasportava c’era scritto: «Donazione di Sua Altezza Latifa Bin Mohammad Bin Mohammad Bin Rashid al-Maktoum, moglie del principe ereditario di Al Fujairah», uno dei sette Emirati Arabi Uniti; questo avveniva sei mesi dopo che Abu Dhabi aveva riaperto la sua ambasciata a Damasco. Il pacco comprendeva pane, olio, zucchero, lenticchie e riso, riporta Asia Times.
La distribuzione degli aiuti umanitari è stata la prima iniziativa degli Emirati a Damasco dal novembre 2011, quando la Lega araba ha sospeso l’adesione di Damasco per la repressione dei manifestanti. Ora, gli Emirati hanno iniziato la loro campagna per vincere i cuori e le menti dei damasceni. Gli Emirati Arabi Uniti stanno inoltre anche finanziando due musalsalat, le fiction in onda durante il Ramadan, trasmesse solo su Abu Dhabi TV.
Si tratta due storie che narrano le vicende di due mistici sufi: la prima Maqamat al-Asheq racconta la storia di un famoso mistico sufi Ibn Arabi, vissuto a Damasco secoli fa e sepolto sulle pendici del monte Qassioun sopra la città; la seconda, Al-Asheq, narra la vita del filosofo sufi dell’era abbaside al-Hallaj.
Entrambe mostrano una versione dell’Islam che sia gli Emirati Arabi Uniti che la Siria stanno cercando di promuovere, e che gruppi radicali come lo Stato islamico hanno cercato di sradicare: il sufismo. Gli studiosi sufi hanno ampia autorità nell’interpretare le questioni religiose e agire sulla base del giudizio, se non diversamente indicato nel Corano. L’unione con Dio assume forme diverse, oltre alla preghiera, e può essere raggiunta attraverso la danza spirituale o inni religiosi. Chierici sufi come Ibn Arabi e al-Hallaj, ritratti nei nuovi drammi finanziati dagli Emirati, ad esempio, vietano rigorosamente l’uccisione di qualsiasi membro delle religioni monoteistiche. Come tutti i musulmani, anche i sufi credono in un califfato da venire attraverso l’amore fraterno piuttosto che attraverso la spada.
Gli Emirati Arabi Uniti, vero hub per la produzione di intrattenimento, non ha più finanziato le produzioni siriane da quando tagliò i legami con Damasco. Questo boicottaggio ha causato un grave danno all’industria televisiva siriana. Senza i soldi del Golfo, gli stipendi degli attori siriani crollarono, costringendoli ad accontentarsi di basse paghe o a emigrare. Anche la distribuzione del loro lavoro è stata molto colpita, in quanto i canali satellitari di proprietà saudita hanno smesso di comprare drammi siriani.
L’improvviso ritorno degli Emirati Arabi Uniti sembra essere stato accolto calorosamente dall’industria dello spettacolo siriana, e dalle autorità siriane, che hanno ben accolto la produzione di entrambe le opere.
Una terza fiction, anch’essa prodotta dagli Emirati Arabi Uniti questo Ramadan, racconta una storia contemporanea basata su eventi reali: un chierico siriano affiliato ai Fratelli Musulmani, bandito sia da Abu Dhabi che da Damasco, ambientato sullo sfondo della seconda guerra del Golfo del 1990, ritrae la Fratellanza collegata con Al-Qaeda in Afghanistan.
Il governo siriano ha bandito la Fratellanza musulmana all’inizio degli anni Ottanta, quando i suoi leader hanno cercato e non sono riusciti a organizzare una rivolta contro l’allora presidente Hafez al Assad. L’appartenenza all’organizzazione è un reato capitale.
Il denaro del Golfo può aiutare con la propaganda contro la Fratellanza, mentre gli attori siriani, con le loro fanbase diffuse in tutto il mondo arabo, possono aiutare Abu Dhabi a garantire il successo di queste opere.
Gli Emirati Arabi Uniti, inoltre, intendono far delicatamente uscire Damasco dall’orbita iraniana e tornare in quella araba, oltre che sfidare la crescente influenza turca nella Siria settentrionale. I paesi del Golfo Persico sono in contrasto con Recep Tayyip Erdogan per il suo appoggio alla Fratellanza e per i legami con l’Iran.
Graziella Giangiulio