In un’intervista rilasciata a inizio novembre al Financial Times, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha parlato della necessità di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia. Già nei giorni successivi, nel corso della Norway – Western Balkans Business Conference, il leader ha rilanciato l’idea di un maxi-piano di investimenti che permetta al paese di rafforzare le proprie infrastrutture energetiche. Un piano di almeno 16 miliardi di euro, oltre quanto già anticipato dalla prima ministra Ana Brnabić già il mese scorso.
L’invasione russa dell’Ucraina non ha indebolito il legame storico tra Belgrado e Mosca: il paese di area balcanica ha soltanto condannato il Cremlino in sede Onu, per poi scegliere di non appoggiare le sanzioni occidentali alla Russia. Ora però il paese si ritrova in un vicolo cieco, visto che le importazioni di petrolio dalla Russia sono compromesse dalla decisione dell’Unione europea dello scorso maggio di tagliarle del 90%.
La Russia è il secondo esportatore di petrolio in Serbia (subito dopo l’Iraq): da Mosca dipende un quarto dei barili importati dal paese di area balcanica. Prima delle sanzioni, il petrolio russo arrivava in Serbia tramite la Croazia. Ora non basta la garanzia del premier ungherese Viktor Orban, che garantisce l’accesso della Serbia all’oleodotto Družba, visto che la linea è costantemente a rischio di interruzioni.
Di fronte alla rottura tra Russia e Unione europea, la Serbia non ha via di uscita se non quella di investire per rafforzare la capacità di produzione interna e per trovare altri modi per rifornirsi all’estero.
E in effetti, già a fine ottobre la premier Brnabić aveva annunciato in Assemblea nazionale un piano di investimenti da 12 miliardi di euro per la sicurezza energetica del paese. Il piano è ancora da definirsi, ma punterebbe sia sulla produzione interna (puntando sull’idroelettrico come altri paesi dell’area), che sulla costruzione di un gasdotto che garantisca la connessione con la Bulgaria, che a sua volta importa gnl da un impianto di rigassificazione situato in Grecia. L’atteggiamento di Belgrado resta comunque ambiguo: secondo Brnabić, il legame con l’Europa è «l’unica garanzia di stabilità e benessere per l’intera area balcanica»; allo stesso tempo, la premier pretende per la Serbia il pieno controllo della politica estera e di sicurezza.
Carlo Comensoli