ITALIA – Cagliari 05/05/2014. Dal 1 al 4 maggio a Cagliari in Sardegna si svolge dal 1657 una cerimonia religiosa molto conosciuta per le caratteristiche folkloristiche; la processione più imponente si svolge il primo giorno e vede sfilare per le principali vie della città la ricchezza dei costumi di tutta l’isola, in nessun’altra regione italiana esiste una così vasta varietà di vestiti tradizionali, che in passato venivano regolarmente usati dalla popolazione.
Ogni paese aveva il suo abito, ne rappresenta l’identità e la cultura e oggi, durante le tante manifestazioni che si svolgono in Sardegna, viene indossato con orgoglio. La processione si apre con le “traccas”, i tipici carri con antichi gioghi trainati dai buoi addobbati a festa con preziosi giochi di colori, trasportano i prodotti della terra e dell’arte, con cestini ricolmi di dolci prelibatezze preparate per l’occasione. Seguono i vari gruppi a piedi, numerosissimi, che indossano appunto il tradizionale abito ricco sia nelle lavorazioni e nei pizzi che nei preziosissimi gioielli in filigrana d’oro e d’argento lavorati a mano. La sfilata scorre con la recita del rosario o col canto dei Goccius, canti sacri, interrotti di tanto in tanto per brevi esibizioni del tradizionale “ballo sardo” (caratteristici balli propiziatori di preistorica memoria) accompagnati dalla fisarmonica e dalle launeddas, antico strumento a fiato. A seguire i cavalieri, poi i miliziani con i vari stendardi che rappresentano quella che era la scorta del Santo guerriero, un tempo si occupavano della protezione durante la processione per evitare ruberie dei gioielli donatigli per voto di cui la statua viene ricoperta durante la processione; subito dopo sfilano i membri dell’Arciconfraternita con la Guardiania, l’Alter Nos e i confratelli, chiude la processione, il Cocchio del Santo.
La storia racconta che nel 1656 i sardi si rivolsero a Sant’Efisio per fermare un terribile contagio di peste che si era propagata in Sardegna, trasmessa da alcuni marinai catalani approdati ad Alghero nel 1652 su un veliero mercantile. L’epidemia si diffuse in tutta il territorio in particolare a Cagliari dove morirono oltre 10mila persone. Il Santo apparve al Viceré Conte di Lemos per richiedere un voto: una processione per liberare la città dalla peste. Fu così che l’amministrazione comunale fece voto a “Efisio”, come viene amichevolmente chiamato dai cagliaritani, che se fosse riuscito a debellare la peste in suo onore, ogni anno, si sarebbe svolta una processione e vari festeggiamenti in suo onore dal quartiere del capoluogo sardo fino a Nora, cittadina in cui fu martirizzato. A settembre di quell’anno piogge insistenti fecero scomparire la terribile malattia e dal 1° maggio dell’anno successivo sino ad oggi il voto viene rinnovato. Al Santo vengono attribuite anche scampate ferocie ed invasioni, inoltre i fedeli si rivolgono a lui per ottenere ogni sorta di grazia.
I preparativi iniziano il giorno prima, seguiti dall’Arciconfraternita, che effettuano la vestizione del Santo con gli antichi abiti e l’apposizione degli ori offerti come ex voto, la sistemazione della statua all’interno del cocchio in vetro, ad ognuno il suo compito e ad addobbare i buoi che trasportano il cocchio è “su Corradori”. Prima di giungere a destinazione farà varie soste una poco distante dall’uscita di Cagliari, in località Giorgino in cui viene spogliato dei gioielli e gli abiti vengono sostituiti. Le funzioni e i festeggiamenti continuano poi per altri due giorni e il 4 maggio di pomeriggio riparte per fare rientro nella chiesa a lui dedicata nel quartiere Stampace.
Una delle figure più importanti è l’Alter Nos, che oggi è il rappresentante dell’Amministrazione Comunale scelto dal Sindaco di Cagliari, che segue tutti preparativi e l’andamento della festa per tutto il periodo. Quest’anno a levarsi il cappello in segno di saluto davanti al bellissimo Palazzo Civico, come tradizione richiede, è stato Giovanni Dore, Consigliere Comunale nominato dal Primo Cittadino Massimo Zedda, che ha raccontato la sua esperienza: “Festa, storia, identità ed emozione, questi sono i tre vocaboli con i quali provo a riassumere il contenuto di questa manifestazione. Ma dentro questo contenitore si racchiudono migliaia di relazioni, testimonianze e storie personali, non basterebbe una enciclopedia a raccogliere tutto”. La Sardegna è una terra antica di tradizioni, dove il legame tra sacro e profano si mescolano con semplicità, ma secondo l’Alter Nos in questa festa si può davvero cogliere il vero significato della devozione religiosa. “Tutti i riti religiosi, prima e dopo la festa sono seguiti con emozione dalla popolazione ed in particolare dagli ‘stampacini’. La tradizione diventa un mezzo per rispettare il voto religioso e non un fine per manifestare il valore etnico della festa. Poi ognuno la vive come la sente, c’è anche una componente laica, ma sempre molto rispettosa del rito religioso. La commozione quando la statua del Santo passa davanti al Municipio o al rientro prima della mezzanotte del 4 maggio, rende – a mio parere – la festa qualcosa di unico. Il ruolo dell’Alter Nos è molto importante sia dal punto di vista istituzionale che religioso e rappresenta la vera essenza dello scioglimento del voto, dalla nomina fino all’anno successivo si ricopre un ruolo di primo piano. In questi quattro giorni si rappresenta il Sindaco in tutte le sedi ufficiali e si ha il potere di decidere ogni cosa, che riguarda la festa naturalmente, anche se, ovviamente, ci si rimette alle tradizioni. La preparazione è fondamentale, si deve studiare la storia, avvicinarsi al rito religioso, avere relazioni con tutti coloro che vivono che partecipano alla cerimonia ed necessario impegnarsi molto perché anche il risultato estetico deve essere ottimale. Non è facile in appena venti giorni, imparare a stare a cavallo in modo disinvolto, bisogna fare tanti piccoli sacrifici, come alzarsi tutte le mattine all’alba e lavorare duramente mentalmente e fisicamente. Ma la fatica viene ricompensata perché per me è stato un onore e un privilegio, la gente si accorge se lo fai col cuore o solo per metterti in mostra. Personalmente quello che mi ha emozionato di più è stato il 1° maggio, il colore del cielo di Cagliari e quelli de sa ‘ramadura’ (spargimento a tappeto di petali di rose rosse, rosa e gialle), ma anche l’investitura davanti ai parenti commossi e salire a cavallo davanti a centinaia di persone ed alle telecamere con l’adrenalina che ti attraversa l’anima e poi il saluto della folla che è tantissima, immensa, variopinta. Ogni singolo arrivo, a Giorgino, a Su Loi, Sarroch, Villa San Pietro, Villa D’Orri, Pula, Nora sono momenti che ti riempiono di gioia, si assaporano sensazioni, cibi ed odori della storia del nostro popolo. Il momento più suggestivo è forse il ritorno del quattro, con la città al buio, col silenzio che viene rotto dal tripudio di una folla da stadio, davanti al municipio ed in via Azuni, davanti alla Chiesa di Sant’Anna. Il rientro nella piazza a Sant’Efisio, il saluto ai vigili e a tutta la guardiania ti tolgono il fiato nonostante la stanchezza”.