SALUTE. Ictus: no alla moltiplicazione delle Stroke Unit a piccoli volumi d’attività

145

Neurologi e cardiologi interventisti su fronti opposti nel trattamento dell’ictus.

La replica del presidente di ISA-All Italian Stroke Association, Mauro Silvestrini, non si è fatta attendere dopo che gli specialisti del cuore avevano lanciato l’allarme sulle metodiche ritenute all’avanguardia.

«Pensare di curare la malattia solamente riaprendo un vaso – spiega il professor Silvestrini – può essere pericoloso. Il cervello è anatomicamente e funzionalmente più complesso. Massima collaborazione con i colleghi, ma rispetto delle competenze: possono cambiare in maniera radicale il corso della patologia e la vita delle persone».

C’è dell’altro. Ed è ancora Silvestrini a farsene portavoce. «Diciamo no alla moltiplicazione delle Stroke Unit con piccoli volumi di attività, in quanto non sarebbero utili nell’interesse dei pazienti».

Qual è, oggi, il percorso che deve affrontare un malato, sia esso donna o uomo, all’indomani dello Stroke, cioè dell’ictus?

«In genere – commenta Silvestrini – viene prima sottoposto a specifica terapia farmacologica per via endovenosa. Solamente in casi selezionati e in determinate condizioni si attiva l’iter che condurrà alla trombectomia. Procedura non risolutiva da sola: il trattamento risulta efficace se esiste un modello adeguato in cui l’intervento può avere un ruolo limitato, non per importanza, bensì perché inserito nell’ambito di un percorso molto più articolato e che non è per tutti».

In buona sostanza, il miglioramento della prognosi non è dato da un unico «passaggio»: alla base vi è una gestione totale, appropriata e condivisa dei problemi caratterizzanti l’ictus. Pertanto, dalla supervisione di tipo neurologico non si deve mai prescindere.

«Se è vero che alcuni pazienti non riescono ad avere un trattamento dedicato – precisa Silvestrini – ciò accade quando il trasporto in ospedale non è tempestivo. Un aspetto influenzato in minima parte dal numero delle Unità Ictus (oggi in Italia se ne contano 220, 64 delle quali effettuano la trombectomia), dislocate in modo da assicurare già una buona copertura (in netto aumento al Sud, ndr)».

Il presidente di ISA-All fa chiaramente intendere come la creazione di ulteriori strutture a volumi ridotti non coincida con l’offrire un buon servizio alle comunità. Occorrerebbe invece – anzi, occorre – ottimizzare il funzionamento della rete attuale: dalla riconoscibilità dei sintomi da parte dei cittadini al trasporto, rapido, in centri attrezzati tramite il 118.

Stessa sottolineatura sulla necessità di figure altamente qualificate in grado di offrire reali opportunità terapeutiche a chi ne ha urgenza. Non a caso, per eseguire la trombectomia è richiesta la specializzazione in radiologia; competenze in neuro-radiologia e preparazione ad hoc in neuroradiologia interventistica. Dunque, sarebbe improprio se un neuroradiologo interventista si occupasse di angioplastiche coronariche.

In conclusione, cardiologi e cardiologi interventisti sono professionisti preziosi e nelle Unità Stroke lavorano in stretta sinergia coi neurologi. Del resto, la competenza cardiologica nell’ictus è fondamentale: vedi il tema della prevenzione secondaria. «Però le specificità vanno mantenute tali, comunque nell’alveo del lavoro effettuato in team». «Il neuroradiologo non tratta l’ictus “in solitaria”, ma in tandem con l’intera Unità, normalmente gestita da neurologi, gli unici che possono dare indicazione alla trombectomia in accordo col primo. I pazienti vanno sempre mantenuti al centro di ogni sforzo profuso durante la fase acuta dell’ictus».

Marco Valeriani