SALUTE. Endocardite, mortalità ridotta con nuova tecnica dei cardiochirurghi GVM

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Pubblicati su Reviews in Cardiovascular Medicine e Scientific Reports due importanti studi dedicati ai predittori per il trattamento dell’endocardite e alla nuova tecnica di riparazione dei tessuti cardiaci compromessi dall’infezione su protesi valvolari aortiche e complicate da ascesso aortico. Tecnica, quest’ultima, messa a punto in Puglia dal team di specialisti del gruppo sanitario GVM Care & Research.

«Nel momento in cui la protesi viene attaccata dall’endocardite – spiega il dottor Giuseppe Nasso, responsabile della Cardiochirurgia di Anthea Hospital Bari, autore dello studio e inventore della tecnica, insieme al professor Giuseppe Speziale, coordinatore delle Cardiochirurgie GVM Care & Research, e ai medici Nicola Di Bari, Marco Moscarelli, Flavio Fiore, Ignazio Condello e Giuseppe Santarpino – è necessario re-intervenire al più presto. Da qui, la procedura d’impianto utile a trattare questa patologia grave mediante una metodica assolutamente innovativa ed efficace che consiste nella rimozione della protesi infetta e l’inserimento di un’altra valvola non più sul tessuto compromesso tramite toppe di tipo biologico ma in posizione molto più alta rispetto all’anulus – l’anello fibroso che contorna la valvola aortica – e pertanto in sede di tessuti perfettamente sani. Così facendo le pareti ripulite dall’infezione rimangono aperte favorendo altresì una migliore guarigione: numeri alla mano – la procedura è ormai standard – i risultati ottenuti sono straordinari».

L’endocardite, grave infezione del cuore e delle valvole cardiache, nell’ultimo ventennio mostra un’incidenza in aumento costante. E ciò anche a causa di una non ottimale profilassi antibiotica durante le cosiddette manovre invasive (vedi la cura dei denti). Spesso colpisce pazienti già operati e nello specifico portatori di valvole artificiali. Soggetti molto fragili e la cui – elevata – mortalità a 12 mesi può arrivare al 75%.

Le endocarditi su protesi valvolare aortica “capaci” di sviluppare la totale deconnessione del ventricolo rispetto all’aorta per fortuna risultano abbastanza rare. Però si è visto, nel periodo considerato dallo studio (13 anni), come i soggetti trattati mediante la nuova procedura – 47 in tutto – all’atto del follow up abbiano evidenziato da un lato la piena validità della tecnica e dall’altro la corretta tenuta degli impianti a distanza di tempo. Infatti, l’indice di mortalità si è drasticamente ridotto: con una sopravvivenza a 3, 7, 9 anni nell’ordine del 97%, 87,5% e 75%. Non a caso, la nuova metodica d’intervento attesta la mortalità a 30 giorni all’8,5% contro il circa 30% della tecnica convenzionale.

I 47 pazienti sottoposti alla sostituzione della valvola e che non rispondevano alle terapie con antibiotici all’interno di Anthea Hospital nel corso dello studio, avevano un’età media di 70 anni (da un minimo di 46 a un massimo di 80), ed erano suddivisi in 25 maschi e 22 femmine.

Prima dell’ingresso in sala operatoria, l’idoneità al trattamento specifico è stata certificata grazie a un’attenta serie di valutazioni diagnostiche e non senza il consulto a livello multidisciplinare da parte di cardiochirurghi, cardiologi, anestesiologi, neurologi e uno specialista in malattie infettive.

Nessuno di essi ha avuto ricadute per endocardite.

Marco Valeriani