
Si può affrontare – e vincere – il tumore della prostata senza dover ricorrere alla “castrazione farmacologica”?
La risposta, pronunciata in occasione dell’ultimo congresso dell’American Urological Association a Chicago, arriva dallo studio Embark.
Lavoro che ha visto il coinvolgimento diretto dell’IRCCS Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori ‘Dino Amadori’, IRST, di Meldola, unico centro italiano e tra i pochissimi in ambito europeo.
«Sì, ora è possibile. È la prima volta – spiegano dall’IRST di Meldola – che viene raggiunto questo importante risultato volto a modificare lo standard di cura per decenni incentrato sulla deprivazione androgenica (castrazione farmacologica), mirata ad abbattere il livello di testosterone ma con evidenti effetti collaterali sull’organismo: andropausa, perdita della funzione sessuale e della libido».
La nuova frontiera della lotta al carcinoma prostatico si chiama enzalutamide – farmaco anti-androgeno – associato alla terapia di deprivazione androgenica.
«Ha evidenziato una riduzione del 58% della probabilità che la malattia si diffonda in altre parti del corpo (metastasi a distanza), un miglioramento del 93% del tempo alla progressione dell’antigene prostatico specifico (PSA) e del 64% del tempo all’utilizzo di una nuova terapia antineoplastica (chemioterapia). Importanti anche le risultanze con solo enzatulamide, ovvero miglioramenti pari, rispettivamente, al 37%, 67% e 46%».
La sperimentazione ha coinvolto 1.068 pazienti a carcinoma in fase precoce – non metastatico – sensibile agli ormoni e già sottoposti a chirurgia (asportazione della prostata) o a radioterapia radicali nonché recidiva biochimica ad alto rischio (incremento progressivo del PSA).
«Orgogliosi di aver contribuito. È la conferma del ruolo di primo piano svolto dall’Italia nella ricerca» dice Ugo De Giorgi, direttore Oncologia Clinica e Sperimentale. «Embark – pazienti arruolati fra il 2015 e il 2018 – è uno dei primi studi a valutare un farmaco anti-androgeno di nuova generazione associato alla terapia di deprivazione androgenica, quando il tumore della prostata è in fase precoce e vi sono concrete possibilità di guarigione».
Nel 2022, nel nostro Paese stimate oltre 40mila nuove diagnosi di tumore prostatico. Dopo il trattamento primario, due uomini su tre guariscono: tuttavia a dieci anni dalla terapia ‘definitiva’ circa un terzo dei pazienti va incontro a recidiva biochimica del PSA e dunque a maggiori probabilità di morire per cancro. Da qui l’urgenza di agire con terapie efficaci, evitando la diffusione della malattia e la trasformazione in metastasi. Finora lo standard era dato dalla castrazione farmacologica. Alcuni pazienti, circa il 10%, specie se giovani, la rifiutano o cercano di rimandarla nel tempo. Non consci del fatto che una dilazione può condurre all’avanzamento rapido del male e a prognosi peggiori.
In Embark, 355 pazienti sono stati trattati utilizzando enzalutamide più terapia di deprivazione androgenica (leuprolide); 358 con placebo più terapia di deprivazione androgenica e 355 somministrando enzalutamide in monoterapia. Le opzioni che includevano enzalutamide – privo degli effetti collaterali derivanti dalla castrazione farmacologica – sono emerse come le più efficaci.
«Ogni anno – conclude De Giorgi – in Italia possono essere circa 8.000 i pazienti candidati al trattamento. Gli obiettivi terapeutici coincidono col ritardare la comparsa di metastasi e prolungare la sopravvivenza e la buona qualità della vita».
Marco Valeriani