
Il 30 agosto è apparso un articolo a firma di Natalie Tocci che fa riflettere e se c’è uno sconcerto non è quello delle parole del Papa, ma quello dell’articolo della politologa esperta di Turchia e Cipro. Lo sconcerto lo crea a cerchi concentrici l’analisi fuorviante di un Marc Galeotti negli Staes su Nikolaj Patrushev, che insieme a quella in Italia di Natalie Tocci creano confusione da, sembra, manifesta non conoscenza che potrebbe portare i decisori a scelte non dettate dalla migliore opzione per i propri popoli ma influenzate da opinioni di “vulgata”.
Non si tratta di essere amici di Kiev o amici di Mosca, si tratta di analizzare fenomeni, fatti, e studiare, studiare tanto. Quello che viene proposto così al grande pubblico come una analisi di esperti in realtà ai più attenti è una analisi da bar, magari quello sotto casa; per carità non vi è nulla di male in ciò davanti a un caffè con amici e conoscenti, ma si potrebbero creare disastri se le stesse analisi finissero sui tavoli di chi decide essendo queste sbagliate nei contenuti, nelle etimologie, nella conoscenza della storia moderna e contemporanea.
Natalie Tocci ci dovrebbe elencare i regni, gli imperi, gli stati che nel lontano passato non hanno morti sulla coscienza e ci dovrebbe dire sociologicamente quale modello politico – economico – sociale della contemporaneità espressione di “una nuova identità” non ha continuato a mietere vittime. Ci sembra se non ricordiamo male che tanto i russi che gli Stati Uniti in Afghanistan hanno creato aberrazioni e che ora lo stato afghano è retto dai talebani, i mujahidin creati dalla “nuova identità statunitense” per contrastare la “nuova identità russa”, e che ora in nome di una “nuova identità afghana” stanno togliendo le donne dalle scuole, hanno chiuso i saloni di bellezza, vietato alle donne di esercitare la professione di avvocato, chiuso le scuole alle ragazze, etc.
Chiediamo: le “nuove identità” da quali cardini sono rette? Quali principi? Chi ha il diritto di dire questa identità sì e questa no? La creazione del concetto di libero arbitrio dell’individuo, di persone e non numeri, è terminata in favore della “nuova identità” collettiva dei mass media dei trend?
Scrivere che «una nuova identità condivisa è andata perduta nei turbolenti anni Novanta» per la Russia significa aver mancato la lettura degli ultimi trent’anni di storia della Russia. Perché è proprio da quel crollo che un manipolo di uomini e donne vicini a Vladimir Putin stanno riscrivendo la storia della Russia e nei loro desiderata, insieme a India, Cina, Brasile et alia del mondo.
A ben guardare quale modello culturale risulterà vincente lo giudicheranno i posteri, noi forse non ci saremo. Fino ad ora la storia è stata scritta dai vincitori mentre attualmente è in corso la riscrittura di una storia da parte dei vinti. Se sia giusto o sbagliano non è in questa sede che va deciso ma, almeno ci si aspetterebbe dagli esperti di non far finta che la storia dei vinti non sia mai esistita.
Aggiungiamo che per chi non lo sapesse è almeno dai tempi di Joseph Marie de Maistre, 1753-1821, che le élite russe sono invitate a studiare con i gesuiti e quindi la spiritualità russa religiosa ortodossa russa ha molto a che vedere con questo Papa, gesuita, che per ora è l’unico che è riuscito a far fare scambi di prigionieri e far sedere a un tavolo ucraini e russi per parlare di questioni “umanitarie”.
E ancora scrivere che Patrushev è la mente grigia che sta dietro tutto persino dietro alla morte di Prighozin, come ha detto Marc Galeotti, significa non aver compreso la burocrazia russa, il sistema politico russo, le gerarchie che sono emerse da Stalin in poi. Putin non sta rifondando l’impero dello Zar, benché per sua ammissione sia un fan di Ivan IV, non è nemmeno un ammiratore sfegatato di Stalin. Nella sua massima ambizione Putin mira a creare un nuovo mondo multipolare di cui la Russia è uno dei poli.
La Russia moderna comprende lo studio dei classici: Pushkin, Fonvizin e altri, ma ha aperto anche un dipartimento della facoltà di ingegneria dedicato allo studio dei droni. Per esempio il nuovo libro di testo di storia moderna per le classi “10” e “11″ contiene due corsi completamente sincronizzati sulla storia russa e sulla storia del mondo. Nelle scuole italiane abbiamo tolto educazione civica e geografia mentre la “geostoria” è relegata a poche ore la settimana. La Russia sta instaurando un nuovo modello culturale onnicomprensivo, classico e contemporaneo in cui anche la religione ha un peso specifico importante, come pilastro fondato dell’identità statale. Abbiamo detto identità e non mercato, si badi bene.
La volontà di imporre un “dominio imperiale” omologato, di volontà di potenza – scivolando in filosofia, noi lo vediamo ad esempio nella Lettonia che vieta la trasmissione di nuovi servizi religiosi ortodossi; in quelle nazioni in cui si sta vietando l’insegnamento della lingua russa; nella proibizione di balletti, esibizioni musicali di artisti russi o nell’eradicazione degli autori russi come Tolstoj o Puskin dalle letture. La vediamo in Francia dove il governo di Olivier Veran ha appoggiato la decisione del ministro dell’Istruzione Gabriel Attal di estendere il divieto di indossare abiti religiosi anche agli abaya, gli abiti tradizionali delle donne arabe; nel Kurdistan iracheno, siriano o iraniano dove è in atto una caccia al curdo che non è grato agli stati. Lo vediamo nella riappropriazione di un museo, già chiesa ortodossa, per riportarla indietro e farla tornare moschea in nome di un nuovo panturchismo. Sostanzialmente il dominio imperiale è quello che ti fa pensare di essere migliore di un altro.
Quindi ben venga un Papa cristiano cattolico romano che parla di patrimonio storico della Russia perché significa che c’è un patrimonio storico dell’Italia della Francia e di ogni paese del mondo, un patrimonio comune all’umanità, che possiamo definire “evoluzione della specie”, culturale politica ed anche economica. Perché studiare la Storia e non avere paura della Storia, crea popoli migliori in grado di dialogare e parlarsi senza bisogno delle armi; curiosi di sapere e condividere cosa pensa l’altro del proprio paese.
E per informazione della professoressa Tocci le “ceneri del conflitto imperiale in corso” non riguarderanno solo la Russia: se non se ne fosse accorta a partire dal 2008 c’è in atto un cambio di paradigma geopolitico che è mondiale. Un paradigma che non si è ancora palesato nella sua essenza ma che vede l’Europa scivolare nel dimenticatoio, il Pacifico come il “nuovo” da esplorare e conoscere, l’Africa desiderosa di avere un posto di primo piano nello scacchiere mondiale.
Graziella Giangiulio e Antonio Albanese