Il Golfo del Bengala come il Mediterraneo

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MALESIA – Kuala Lumpur 18/05/2015. La Malesia ha annunciato, il 18 maggio, che il suo ministro degli Esteri avrebbe incontrato i suoi omologhi thailandese e indonesiano a Kuala Lumpur il 20 maggio per discutere come affrontare il traffico di esseri umani, dopo che migliaia di richiedenti asilo sono arrivati ​​sulle sue rive nel corso della settimana passata.

I governi del sudest asiatico hanno finora mostrato una scarsa risposta coordinata all’emergenza costituita dalle imbarcazioni di migranti musulmani di etnia Rohingya provenienti dal Bangladesh e dal Myanmar: circa 2.500 migranti sono sbarcati in Malesia e Indonesia durante la scorsa settimana, mentre circa 5.000 sono bloccati in mare con scarse scorte di cibo e acqua. Malesia, Indonesia e Thailandia hanno respinto a vicenda i barconi di migranti, in quello che l’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha definito un «ping-pong marittimo con le vite umane». La prevista riunione dei ministri degli Esteri malese e indonesiano prevista per il 18 maggio è stata spostata al 20 per consentire al ministro degli Esteri thailandese di partecipare, riporta Channel News Asia che cita fonti del ministero degli Esteri malese; al centro dei colloqui il traffico di esseri umani nella regione. Si stima che circa 25mila bengalesi e Rohingya si siano imbarcati sulle navi dei contrabbandieri nei primi tre mesi del 2015, il doppio rispetto allo stesso periodo del 2014, secondo i dati forniti dall’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite. La Malesia, che dice di aver già preso in 120mila migranti clandestini dal Myanmar, ha messo in chiaro che non ne può ospitar dei più e potrebbe respingere le barche di migranti; nel contempo, Kuala Lumpur, attuale presidente Asean, sta gestendo gli sforzi diplomatici sulla crisi. Thailandia ha già dato la sua disponibilità ad ospitare i colloqui di Bangkok il 29 maggio per discutere dell’emergenza: il primo ministro thailandese Prayuth Chan-Ocha ha detto il 18 maggio che l’Onu dovrebbe parlare con il “paese d’origine”, per risolvere il problema, senza nominare direttamente il Myanmar: «Spero che la riunione del 29 maggio offra soluzioni e azioni che possano essere applicate alla fonte, al transito e alla destinazione», ha detto Prayuth. La maggior parte dell’oltre un milione di musulmani Rohingya birmani sono apolidi e vivono in condizioni di segregazione; quasi 140mila sono stati allontananti dopo gli scontri etnici con i buddisti nel 2012. Il Myanmar, da canto suo ha riconosciuto le “preoccupazioni” internazionali, ma ha insistito che il paese non dovrebbe essere incolpato per la crisi, invocando una soluzione regionale. Le autorità di Myanmar negano l’esistenza di un gruppo etnico Rohingya di 1,3 milioni nel paese.