RISIKO. L’imbarazzo Afgano: come la NATO esce dall’Afghanistan

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All’Afghanistan e al ritiro improvviso delle forze Alleate è dedicata l’ultimo podcast e puntata di Risiko. Per ascoltare il podcast cliccare qui.

Lo scorso giovedì 24 giugno il Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha svolto nell’Aula di Palazzo Madama un’informativa sul ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan, che segna la fine della missione internazionale della NATO. Dopo venti anni le forze occidentali lasciano un territorio tutt’altro che pacificato, e il paragone con quanto avvenuto in Vietnam cinquant’anni fa è più che calzante.

«Il livello della violenza è aumentato e gli attacchi delle componenti militari e oltranziste del movimento talebano hanno come loro obiettivi non solo, come detto, le forze di sicurezza afgane e il controllo di alcune province, ma anche esponenti della società civile. Non meno rilevante, inoltre, è la minaccia posta dal terrorismo jihadista e dalle sue diramazioni nel Paese, su tutte Isis-Khorasan, che continua ad avere una forte capacità di richiamo sulle province più povere che in maniera insidiosa hanno ripreso a condurre attività cinetiche», sono le parole pronunciate dal Ministro Guerini dinanzi i senatori.

Eppure, nessun Paese ha mosso delle rimostranze nei confronti della repentina decisione del presidente USA, Joe Biden, di lasciare l’Afghanistan al suo destino. Nel frattempo, già cominciano le rappresaglie interne contro i “collaborazionisti” afgani che hanno lavorato e sostenuto le forze della NATO in questi venti anni: vere e proprie esecuzioni, che sono appena iniziate. Il Ministro Guerini ha dato conto di un “trasporto umanitario” che conta 224 persone tra personale civile afgano impiegato in questi anni dalle forze italiane e loro famiglie. Un numero irrisorio, rispetto ad un’intera generazione che nell’ultimo ventennio a vario modo è venuta a contatto con l’Occidente liberatore e che adesso sarà costretta a vivere secondo i “sacri principi dei codici islamici”.

E sono soprattutto i diritti delle donne ad essere in pericolo, con la lancetta dell’orologio che inesorabilmente sta tornando indietro di due decenni, con l’aggravante che abbiamo fatto credere ai giovani afgani di poter vivere in maniera diversa. L’ennesima riprova che la democrazia non può essere esportata.

E mentre l’Occidente si gira dall’altra parte, Turchia e Cina avanzano conquistando terreno e posizioni strategiche. Cinquant’anni fa un’intera generazione ha manifestato il proprio sdegno per la guerra in Vietnam, simbolo di una rivoluzione culturale e sociale. In quest’epoca di passione tristi i giovani si ribellano soltanto quando si lede il loro diritto “all’aperitivo” e alla movida, e la politica approfitta di questa ebbra distrazione per non dare conto delle sue scelte. Rimanere informati è un dovere civile e morale.

Buon ascolto…

Cristina Del Tutto