Riflettori sul Trattato di Sicurezza Collettiva

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I primi di agosto la Camera Bassa Uzbeka annunciato ha che interdirà qualsiasi tipo di base militare straniera dal suo territorio.

Linea strategica preannunciata dalla sospensione avvenuta nel mese di giugno dalla qualità di membro dello stato uzbeko di qualsiasi alleanza militare di tipo multilaterale. La Collective Security Treaty Organization (CSTO), vede di nuovo spostare i riflettori sul suo operato. Questo blocco militare ha infatti l’ambizione raggruppare, Bielorussia, Armenia, Kazakhstan, Kyrgystan, Tajikistan e, fino allo scorso mese, l’Uzbekistan, al fine di veicolarli, sotto la sostanziale egida russa, verso un’immagine di solidità e stabilità negoziale spendibili ad occidente. Organizzazione formalmente stilata nel 1992, tuttavia dalla dubbia efficacia, che aveva già visto dopo soli sette anni dirigersi ad ovest Georgia, Armenia e Uzbekistan; nei casi uzbeko ed armeno, per riavvicinarsi nel 2006. Nella seconda metà dello scorso decennio, la Russia decise di recuperare gli stati allontanatisi dall’idea originaria, cercando di rilanciare l’idea di un’organizzazione alternativa alla NATO e mettendo in luce la propria capacità di creare una Forza di Reazione Rapida. Tentativo di cooperazione rafforzata al quale lo stato Uzbeko partecipò in sordina. Aldilà dei trattati dai quali far scaturire nuove organizzazioni, siamo dinnanzi all’ennesimo tentativo di capovolgimento di una costruzione identitaria di fatto inesistente, ossia quella delle ex-repubbliche comuniste. Sin dal collasso sovietico – e in tutta probabilità, nel silenzio internazionale, anche in precedenza – l’Uzbekistan aveva mostrato pulsioni indipendentiste e grande scetticismo al riguardo dei vari simulacri di egemonia russa. I motivi che avevano spinto il governo Uzbeko del tempo ad aderire alla CSTO, vanno quindi ricercati nel pragmatismo, non nell’identificazione. La CSTO resta infatti una forma di veicolo di stabilità, in quanto formalizza l’odiata presenza russa nel territorio dei vicini Tajikistan e Kyrgyztan rendendoli più mansueti, in una sorta di sintesi tra i due principi geopolitici che vorrebbero il vicino del tuo nemico tuo amico, e coloro che hanno un comune nemico alleati. Un bilanciamento come prevedibile non duraturo perché, nonostante il suo attuale dimenarsi, fuori da un reale controllo uzbeko. Strategicamente accorta, la Russia ha infatti cominciato a tessere una tela di cooperazioni rafforzate per via bilaterale mettendo alle strette le velleità dello stato uzbeko, che in alternativa ad una sua più stretta partecipazione, altro non avrebbe potuto fare che sospendere di nuovo la sua membership dalla CSTO. Mutatis mutandis, ed in assenza di alternative regionali, la soluzione uzbeka non può che dirigersi ancora una volta ad occidente. Prematuro nominare la Nato, ma non sembrerebbe azzardato guardare agli Stati Uniti, almeno stando alla geografia delle operazioni militari. Questi ultimi infatti nell’effettuare il proprio ritiro dall’Afghanistan, apprezzerebbero un punto di scambio logistico intermodale per far transitare le merci dentro e fuori i confini Afghani. Senza contare le implicazioni politico internazionali che un’effettiva presenza sul territorio può dare alla futura stipula di nuovi ed antitetici accordi di sicurezza e cooperazione o di eventuale fornitura di armi. Nella sostanza, data la bassa partecipazione uzbeka alle attività dell’organizzazione, non cambierà molto a livello logistico organizzativo all’interno della CSTO; mentre, massivo sembra essere l’impatto sulla sua immagine. Restano ancori i dubbi sulla capacità d’intervento della CSTO e sulla fiducia riposta in essa dai suoi stessi membri.