Un clic per la rivoluzione

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Inghilterra – Londra. La chiamano infezione virale, non si tratta di una malattia incurabile, ma del contagio che si ottiene sulla rete quando si chiamano in causa i social network. Poco importa se si tratta di campagne pubblicitarie o di arruolamento di terroristi, la viralizzazione funziona allo stesso modo.

Basta una leggera pressione sul telefono, tastiera del computer, tablet e via si può votare il favorito a un incontro sportivo, esprimere messaggi di solidarietà; aggiornarsi sullo stato di un evento. E ancora si può retweettare per spiegare come agisce la polizia antisommossa; si possono far circolare immagini sulle atrocità derivanti da un fatto criminale. L’idea è che gli utenti dal computer o dal cellulare si possono attraversare i confini sovrani con un solo clic e “Fare la differenza”. Idea che è stata, per esempio, presa in considerazione nella campagna pubblicitaria del 2012 di “Kony”. Una strategia di marketing coordinata arruolando star di Hollywood e che ha prodotto un video. L’obiettivo era arrivare all’arresto e al processo del signore della guerra ugandese Joseph Kony, leader dell’Esercito di resistenza del Signore e un uomo già incriminato dalla Corte Penale Internazionale (CPI) per crimini contro l’umanità. E come una campagna di marketing virale, ha funzionato, soprattutto con i giovani spettatori che hanno partecipato con entusiasmo a questo nuovo processo politico. Il video lanciato il 5 marzo 2012, aveva registrato visioni da parte di 62 milioni di persone su YouTube già il 10 marzo. Kony come ammette la stessa proprietaria della campagna pubblicitaria “Kony e i bambini invisibili” è ancora a piede libero. segno chiaro di come il potere del “clic” della “ritweet” sia limitato. Anche perché dei confini esistono e sono quelli della rete. Perché se da un alto in occidente o nei paesi fortemente sviluppati il virtuale ha un peso sociale, non è la stessa cosa nel resto del mondo. Non ancora. La speranza, secondo gli ideatori delle campagne vitali è che i gruppi collegati virtualmente condividano politicamente contenuti e immagini dando vita al cambiamento reale è in crescita tra i giovani in tutto il mondo. Immagine molo cara aglia ttivisti, oppositori dei governi del globo. Un attivista siriano, presente su Facebook, Skype e Twitter grazie ad un collegamento dal portatile, ha detto al quotidiano Times: «Dagli egiziani abbiamo imparato a mobilitare noi stessi on-line. In Bahrein sono i migliori a fare appello ai gruppi per i diritti umani. Abbiamo visto come ha agito, tramite la rete, l’opposizione unita in Tunisia e sapevamo che dovevamo fare lo stesso. [. . .] Da ieri sono in contatto con un ragazzo in Kuwait, un ragazzo in Tunisia, uno in Giordania e uno in Palestina. [. . .] Ho caricato un video dalla Siria e uno dallo Yemen». Tale evidenza aneddotica suggerisce un sentimento di solidarietà di opposizione. Una solidarietà che non richiede il duro lavoro, un tempo necessario per dare vita ad una “base”. Questo il tweet dalla rivolta del Bahrein, descritta attimo dopo attimo, riflette un crescente stato d’animo di mutualità rivoluzionaria e reciprocità, il messaggio recitava: «Bahrain_Rev: # Bahrain rivoluzione è in piedi con i rivoluzionari # Egypt’ian a # Tahrir, preghiamo per voi». Improvvisamente, la propaganda dei fatti – momenti violenti o drammatici che, una volta catturati come le immagini, potrebbero cambiare il corso degli eventi – diventa uno strumento strategico centrale. Eppure tale fede nella solidarietà globale ignora allegramente la realpolitik degli stati-nazione, riluttanti a intervenire in turbolenza straniera.

Stati – Nazione che non riescono a riconoscere il progresso di movimenti sociali come Occupy, che pretende di parlare per il mondo al “99 per cento”, non riconoscono a capire le diverse sollevazioni giornalisticamente raggruppate sotto la primavera araba, le rivoluzioni che passano da Facebook o Twitter. Un contagio che passa dalla rete e che è diventato una parole d’ordine dell’era globale, in particolare per quantoconcerne le popolazioni vicine in tutto il Medio Oriente e Nord Africa che in questi ultimi anni hanno apertamente sfidato i loro governi. Questi movimenti anche se i governi reali non vogliono capire sono in atto e cambiano effettivimante il corso della storia. 

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