Il Fattore K e le miserie politiche italiane

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ITALIA – Roma 20/4/13. Giorgio Napolitano ha accettato la ricandidatura ed è da oggi il XII presidente eletto della Repubblica italiana con 738 voti. 

La sua rielezione smentisce l’importanza del fattore K, come elemento di blocco del sistema politico italiano. Anzi, in una sorta di contrappasso dantesco, oggi occorre esaltarla, leggerla in chiave matematica, come simbolo della costante di equilibrio in un fenomeno che si va ad analizzare, e caratterizzato da due grandezze inversamente proporzionali. 

Come più volte si è ricordato, anche in questi ultimi giorni, il Fattore K è venuto fuori in più di un’occasione: dalla mancata vittoria di Bersani, al blocco del motore del Pd, la cui anima popolare non ne poteva più. “Fattore K” è un’ espressione coniata da Alberto Ronchey nel 1979, nell’editoriale “La sinistra e il fattore K” uscito sulle colonne del Corriere della Sera. Secondo Ronchey il fattore k (dal russo kommunizm, cioè comunismo) impediva, in uno scenario mondiale bloccato sulla dicotomia Ovest – Est, alla democrazia italiana di poter vedere un’alternanza al governo tra le principali forze politiche del Paese.

Lo spettro del fattore K aleggiava nel 2006 quando Giorgio Napolitano salì al colle per la prima volta; la sua popolarità è cresciuta nell’arco del suo mandato, via via  che diminuiva la percezione della maledizione dei politici provenienti dal Pci e la diffidenza di chi non si riconosceva nella storia del Presidente della Repubblica e, di conseguenza,  ne apprezzava la correttezza istituzionale e il grande senso dello Stato, in una parola: la sua dignità. Una dignità e sobrietà che brillava sempre di più mano a mano che il quadro politico italiano precipitava nel caos e nell’oclocrazia, cioè nella degenerazione esatta della democrazia. 

E quindi, dopo l’implosione e la balcanizzazione del Pd, che ha divorato i suoi padri fondatori, quella “K”, fattore di equilibrio e costanza, diventa essenziale nello sbloccare l’impasse in cui si è avvitato il sistema politico italiano. 

Volendo usare una figura cara alla cosiddetta prima repubblica, e riutilizzata recentemente dal Prof. Guzzetta, noto costituzionalista: «La formula di governo c’è, manca solo il nome del primo ministro. Ora si può eleggere il capo dello Stato». 

L’ombra lunga del fattore K stavolta ha seppellito le miserie del sistema politico nazionale, impoverito e immiserito nei temi e nei personaggi, per rivelarsi il perno delle indispensabili e non rinviabili riforme sostanziali del sistema politico e amministrativo italiano. 

La delusione comunque resta; il fallimento dei partiti politici della contemporaneità italiana è enorme. Le miserie umane incrociate a quelle politiche, unite ad una mancanza generalizzata di buon senso, hanno determinato uno stallo non facilmente descrivibile senza trascendere in un fraseggio di bassa lega, cui le cronache politiche nazionali recenti ci hanno purtroppo abituato. 

Ora sta al “governissimo” del Presidente gestire e dirimere una intricata situazione nazionale e confrontarsi nelle arene internazionali che non amano certamente Roma e la sua intraprendenza. Tutt’al più ne apprezzano gli aspetti enogastronomici. 

Se non si cambiano le cose per stare al passo con i tempi, e nella misura giusta, con le persone adatte, si rischia di dover concordare con Tancredi, il nipote di don Fabrizio Salina: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».