Quale governo per la Libia?

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I libici, dopo 48 anni, passeranno il Ramadan consci di essere nelle mani di un’Assemblea Costituente formata da rappresentanti espressione di una consultazione democratica che determinerà anche Primo Ministro, Gabinetto e Parlamento. Il Consiglio Nazionale di Transizione, che ha guidato la Libia nei mesi del post-Gheddafi, sembra quindi aver esaurito il suo compito. I risultati definitivi dello scrutinio, che vede attualmente in vantaggio il precedente primo ministro Mahmud Jibril, saranno infatti disponibili non prima del prossimo 19 luglio, intanto i colloqui fra Jibril e gli islamici per un eventuale governo di coalizione si susseguono a ritmo serrato. Le attuali proiezioni, evidenziano un’affermazione dei moderati sugli islamici, soprattutto nelle regioni dell’ovest, con grande soddisfazione – com’era prevedibile – della comunità internazionale. Sembrerebbe dunque fallito il tentativo di boicottaggio del voto avanzato in Cirenaica, che non è riuscito ad impedire ai libici residenti in quella regione di recarsi comunque alle urne.

Resta aperto il problema dell’unificazione effettiva del paese, Tripoli dovrà pertanto bilanciare i suoi provvedimenti tra le richieste di autonomia regionale e le rivendicazioni delle milizie islamiche. Governabilità di certo non incrementata dal fatto che nessun partito è riuscito ad ottenere la maggioranza dei voti. Dopo l’Alleanza per le Forze Nazionali, la Fratellanza e Giustizia Islamica è infatti seguita dal partito Salafita, capeggiato dal ex-leader dei ribelli Abdelhakim Belhadj quanto a numero di preferenze, con un netto vantaggio degli ultimi due nelle regioni del sud, notoriamente più conservatrici.

Senza un chiaro orientamento politico di governo, se non una vaga apertura ai dettami occidentali, una grande coalizione che richiami all’unità nazionale si presenta come una degna soluzione di second-best in termini governativi, se non la migliore in un’ottica socio-culturale. L’Alleanza per le Forze Nazionali, sedicente liberal-democratica, non ha difatti esitato a sottolineare il suo doveroso tributo alla Sharia da intendersi alla stregua di uno stabile sostrato per il futuro politico della Libia. Certamente, la geometria elettorale fa la sua parte in tutto questo, dato che il supporto delle fazioni islamiche resta fondamentale nella costruzione di una qualsiasi stabilità istituzionale.

Il passato e le connessioni. Entrambi i leader dei due maggiori partiti sono personalità ben radicate in Tripolitania e vantano un malcelato supporto estero. Si sospetta che il partito di Belhadj riceva sostegno economico e finanziario dal Qatar. Mentre forti restano i legami, o presunti tali, di Jibril con la sua appartenenza alla Tribù di Warfalla, nota per aver supportato Gheddafi fino al febbraio 2011, con Jibril stesso membro del Governo Gheddafi pochi anni prima. Soprattutto, in uno Stato frazionato come quello libico, non si può ritenere che le sorti di un paese dipendano interamente da un esito elettorale. Il rischio che il neo-eletto Governo di Tripoli venga ignorato dalle milizie armate, che difficilmente accetteranno un governo di islamico di tipo moderato resta molto alto. Le problematiche dei mesi a venire resteranno le medesime che si era trovato ad affrontare il Governo di transizione, siamo evidentemente dinnanzi a un tentativo di più efficace componimento e sintesi del tessuto socio-politico.