ITALIA – Roma. 15/01/15. I recenti fatti di Parigi sono un chiaro campanello di allarme e nella loro tragicità danno voglia di ricordare con forza ai politici e ai governanti europei che la guerra fredda è finita.
Non si tratta di sottolineare nuovamente l’evidenza politica e storica di un euforico e festoso evento quale la caduta del muro di Berlino e il successivo disfacimento della soffocante minaccia totalitaria dell’Impero sovietico sull’Europa. Si tratta invece di una riflessione sullo sviluppo dello strumento militare e della sicurezza nell’Unione Europea.
La sensazione in questi ultimi tempi è che a distanza di più di venti anni da quel novembre 1989 nell’ambito delle politiche per la sicurezza non si sia compresa la modifica avvenuta sullo scacchiere europeo. La guerra fredda ha chiaramente indicato che gli stati europei non erano più in grado di soddisfare da soli alla propria difesa e la presenza americana in Europa ne era la garanzia. Con il venir meno della minaccia sovietica, gli americani hanno capito che la loro presenza era anche meno necessaria, mentre la loro presenza al difuori dei confini europei diventava primordiale per la difesa dei propri interessi nazionali. Per tale motivo, in questi ultimi venti anni, gli Stati Uniti hanno diminuito la propria presenza in Europa in modo graduale, lasciando il tempo agli Stati europei di costruire le proprie capacità in termini di difesa e sicurezza.
Gli Stati Uniti hanno sviluppato in questo lasso di tempo una nuova strategia, un nuovo strumento militare rinnovandolo nelle sue capacità, un nuovo concetto operativo, delle nuove tecnologie, nuove relazioni o nuovi rapporti di forza con soggetti extra europei. Questi sviluppi saranno giudicati dalla storia, ma sono sviluppi effettivi. Allo stesso modo hanno fatto i russi, i cinesi, in gran parte anche gli indiani e altre realtà emergenti. Tranne alcuni tentativi nazionali più o meno riusciti (vedi i francesi, i britannici, i tedeschi e in parte gli italiani), l’Europa è rimasta al palo dal punto di vista della difesa e della sicurezza, sia per quanto riguarda le relazioni transatlantiche che per la costruzione di una risposta efficace, perlomeno sulla lunga durata, alle minacce alle quali è confrontata o troverà ad essere confrontata (si spera di no) nel futuro, dal terrorismo interno ai conflitti simmetrici e asimmetrici passando per le sfide dell’intelligence.
Per vari motivi, che vanno dalla mancanza di risorse alla volontà politica, l’Europa ad oggi si trova in una situazione di capacità limitata di risposta ai fenomeni che la riguardano e con una mancanza di coordinamento, il che riduce ancor maggiormente le capacità nazionali. Se si considera l’assioma clausewitziano dell’assoggettamento dello strumento militare (letto in tutto il suo spettro, dall’uomo in divisa all’intelligence passando per le forze dell’ordine e le tecnologie) allo strumento e al potere politico, si capisce come la problematica della difesa e della sicurezza europea sia un problema fondamentalmente politico.
Secondo molti storici, l’affossamento della Comunità Europea di Difesa – CED nel 1954 ha rappresentato la morte della possibilità di costruire uno strumento militare comune europeo e i trattati europei successivi i numerosi chiodi necessari per la chiusura della bara. Di chi sia la colpa è inutile analizzarlo realmente. È utile invece ricordare la lezione di un professore di politica economica secondo il quale un maggiore allargamento europeo è inversamente proporzionale alla sua integrazione. Ovvero un maggiore allargamento allontana la possibilità di una maggiore integrazione. Da Maastricht ad oggi l’Unione Europea è passata da dodici a ventisette membri. La sua integrazione economica è aumentata, quella politica si è dissolta.
Alla chiusura del semestre italiano della presidenza dell’UE, il premier Renzi ha, giustamente, invitato gli Stati membri ad una maggiore integrazione nell’ambito della sicurezza e della difesa. Non si fanno i conti, però, con un’altra realtà: in primis deve avvenire un’unione politica, senza la quale i discorsi sulla sicurezza, l’economia, la politica estera, e via discorrendo, perdono consistenza e attaccamento alla realtà. Sembrerebbe che gli Stati Membri siano tutti nella stessa stazione aspettando il treno che porterà l’UE nel futuro, trovandosi di fronte a due scenari possibili. Il primo, quello sperato, è che il treno sia in ritardo per colpa di qualche inconveniente ormai risolto. Il secondo scenario, molto più realistico, è che quel treno sia già passato da anni e non si possa più recuperare.
D’altronde le dichiarazioni su France24 di alcuni giorni fa di Hervé Morin, ministro della difesa francese nell’era Sarkozy, sono l’esempio migliore di come nell’ambito della difesa sia utopico pensare a qualcosa di europeo. Morin racconta che durante il summit europeo di Lancaster, in Gran Bretagna, il responsabile del governo inglese abbia affermato chiaramente: se la volontà è di costruire qualcosa di europeo, il Regno Unito se ne tirerà fuori; al contrario siamo disposti a fare accordi bilaterali.
Di fatto, con gli accordi bilaterali l’obiettivo è di fare secondo le capacità di ognuno rafforzando solo alcune tematiche e gestendone altre in modo congiunto, sempre da un punto di vista bilaterale. Questa sembra, ad oggi, l’unica opzione per alcuni Paesi che non intendono rimanere indietro nella propria sicurezza, quali Gran Bretagna, Francia o Germania. L’Italia dal canto suo, al di là di alcuni accordi bilaterali o timidi trattati in ambito europeo, sembra cercare di coprire i buchi con quella coperta che sta diventando sempre più corta, altalenandosi tra eccellenze e soluzioni arrangiate alla bene e meglio.
Finché non ci sarà la volontà politica di delegare realmente poteri all’UE (quali la rappresentanza politica, quindi la difesa, la politica estera e le altre politiche), ci si continuerà ad arrangiare, non realizzando che l’unione delle forze è maggiore della somma delle forze distinte. D’altronde, per fare un esempio, l’Unione Europea ha chiesto ai suoi Stati membri che avevano sia una gendarmeria che una polizia di fare un corpo unico di ordine pubblico e pubblica sicurezza. Belgio, Olanda, Austria e Spagna hanno obbedito; la Francia l’ha fatto a metà; in Italia è impossibile pensare di cancellare i due secoli di storia dell’Arma dei Carabinieri (elevata peraltro nel 2000 a quarta forza armata) o il secolo e mezzo della Polizia di Stato, per non parlare della storia del Corpo della Guardia di Finanza.
Se la politica non agisce, rimarremo fermi … purtroppo fermi a quella sera del lontano 9 novembre 1989 e alla luce di libertà e sicurezza che ha emanato su tutta l’Europa.