Piattaforme petrolifere addio?

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POLO NORD – Alaska. La nuova tecnologia entro un decennio avrà un significato particolare per luoghi come l’Alaska, in cui la messa in opera della piattaforma della Shell a Capodanno ha scatenato l’opposizione alla presenza di impianti in luoghi ecologicamente delicati.

Le compagnie petrolifere hanno costantemente piazzato le attrezzature offshore che trivellano il fondo del mare lontano da ghiaccio e tempeste, per eliminare gran parte del rischio associato a simili impianti. Ma le compagnie petrolifere devono ancora superare una serie di ostacoli prima di poter mettere mano sul fondo del mare e molte aziende fanno letteralmente a gara per trovare una soluzione entro un decennio. L’Agenzia internazionale per l’energia stima che dei 2.700 miliardi di barili di petrolio recuperabile dal fondo del mare, il 45 per cento è in mare aperto e che le società petrolifere  dovranno passare gradualmente ad acque più profonde, poiché i bacini in acque poco profonde si sono impoveriti. Si prevede che entro il 2035, la produzione in alto mare sarà quasi il doppio (8,7 milioni di barili al giorno), soprattutto nelle zone  della parte statunitense del Golfo del Messico, in Brasile e in Africa occidentale. La domanda è così alta che Quest Offshore, una società di consulenza, prevede che gli ordini per trivellazioni sottomarine aumenteranno del 23 per cento all’anno fino al 2015. Nel superare i limiti sottomarini, Shell e la norvegese Statoil stanno per costruire il primo apparecchio sottomarino a gas di compressione, una pietra miliare che eliminerebbe la necessità di molte piattaforme. Statoil è impegnata nel suo campo sottomarino Aasgard e prevede di finire entro il 2015. Tuttavia, Ormen Lange di Shell, 120 chilometri al largo, sarebbe già in grado di ottenere energia dalla terraferma:  in questa maniera  la compressione sarebbe effettuata sul fondo del mare senza piattaforma di supporto. I compressori sul fondo del mare sono più vicini al serbatoio e già sotto l’immensa pressione dall’acqua, quindi si avrebbe bisogno di meno energia per estrarre più petrolio e gas. Se queste innovazioni si riveleranno fruttuose, i giacimenti artici potrebbero essere i primi beneficiari della nuova tecnologia. La US Geological Survey stima che l’Artico possieda 90 miliardi di barili di petrolio e oltre 47.000 miliardi di metri cubi di gas. Shell ha già speso 4,5 miliardi di dollari per preparare l’attività estrattiva nella regione artica dell’Alaska, ma fa fatica a superare gli ostacoli politici, normativi e tecnologici. Statoil opera già a Snoehvit, campo artico di gas naturale, nella Norvegia artica, e si stima che la compressione sottomarina ad Aasgard possa far uscire almeno altri 280 milioni di barili di petrolio. Il più grande ostacolo per la produzione sottomarina è il modo di fornire energia agli impianti. Le piattaforme di solito generano la loro elettricità ma ottenere potenza oltre una distanza di 100 km dalla costa, è impresa complessa.