PANDEMIA. Il COVID 19 arriva fino alla città più vicina al Polo Sud

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Ripubblichiamo l’articolo del direttore di Radio Sparlamento, Cristina del Tutto, sulla diffusione del Covid 19 nel mondo. Uno sguardo a quanto si sta facendo negli altri paesi che stanno combattendo la pandemia.

Il podcast può essere ascoltato a questo link

In questa puntata di RISIKO, Antonio Albanese e Graziella Giangiulio, direttore e condirettore di AGC Communication, dati alla mano, hanno analizzato la situazione del COVID-19 nel mondo: come si è sviluppata la pandemia nei diversi Paesi; quali misure sanitarie e di contenimento dei contagi sono state intraprese.

Iniziamo con una panoramica generale della situazione. Secondo le rilevazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), lo scorso 21 di ottobre i contagi nel mondo sono arrivati alla cifra di 40.455.651 casi. Soltanto negli ultimi sette giorni si sono registrati oltre 37 mila decessi. Il primato è tristemente detenuto dagli Stati Uniti con 8.120 decessi, segue l’India con i suoi 7.851 morti. Preoccupante anche la situazione in Russia e in Sud America.

Ma quanto sono attendibili questi dati? In realtà non esiste a tutt’oggi un protocollo internazionale che fornisca dei parametri univoci sulle modalità di raccolta dei dati, in mancanza del quale ogni Stato fornisce giornalmente alla OMS i propri dati sulla base di linee guida nazionali. In Italia i criteri relativi alle attività di monitoraggio e raccolta dati sono descritti all’interno del decreto del Ministero della Salute del 30 aprile 2020. In pratica, il nostro Paese si affida ad un algoritmo in base a dati numerici forniti dalle Regioni e Province autonome, che inviano quotidianamente all’Istituto Superiore della Sanità (ISS) i dati relativi a tutti gli individui con infezione da SARS-CoV-2, confermati in laboratorio. È un buon metodo? È difficile poter dare una valutazione, dal momento che non ci sono precedenti al riguardo. Possiamo però mettere a confronto il sistema italiano con quello adottato da altri Paesi. Per esempio, la Francia – ci spiega Graziella Giangiulio, condirettore di AGC Communication – ha optato per una raccolta dei dati su base nazionale. I dati vengono forniti e gestiti dai singoli operatori sanitari, che giornalmente li comunicano attraverso una piattaforma web attiva dallo scorso maggio. Quando una persona risulta positiva, automaticamente tutte quelle afferenti al medesimo nucleo familiare sono a carico dello stesso operatore sanitario. Inoltre, vengono monitorati tutti i dati relativi al singolo paziente . Questo permette alla piattaforma di effettuare un audit delle terapie, per capire se stanno funzionando e, nel caso, di sostituirle con diverse cure farmacologiche. È probabile che, attraverso questo sistema, la Francia nel medio periodo possa arrivare ad avere la situazione sotto controllo a livello nazionale, nonostante in questo momento stia vivendo una fase di acuta recrudescenza della malattia. A ben vedere, purtroppo, la situazione francese è lo specchio di una situazione globale che vede un generalizzato dilagare del Covid-19, che ha costretto tutti i Paesi ad intraprendere drastiche misure per cercare di contenere la diffusione della pandemia.

La situazione appare drammatica in diversi paesi europei. In Olanda, bar e ristoranti rimarranno chiusi fino a dicembre. Nel Regno Unito, la Scozia ha prorogato le restrizioni sulla circolazione delle persone fino al 2 novembre. In Irlanda è stata decretata la chiusura totale, consentiti soltanto gli spostamenti necessari entro 5 km dalla propria abitazione. Introdotte restrizioni alla mobilità delle persone anche in Svezia, nella città di Uppsala, e il governo di Stoccolma ha annunciato una stretta generalizzata se i casi di contagio non diminuiranno nelle prossime due settimane. Anche in Germania la situazione è critica con oltre 363 mila casi accertati, e attualmente sono state messe in atto chiusure parziali per scongiurare un blocco totale del paese. Allarme molto alto anche in Ungheria, che detiene il numero più alto dei decessi in Europa. Il Governo ungherese ha vietato tutti gli eventi pubblici. Il Parlamento del Portogallo, nonostante la situazione sia ancora critica, ha recentemente bocciato la proposta del governo di rendere obbligatoria per tutti i cittadini la App per il tracciamento dei contagi. Dall’altra parte del globo, invece, a Singapore, la app Trace Together che lo Stato ha reso obbligatoria, sta funzionando molto bene, tanto che sono state allentate le misure di contenimento.

Diversa la situazione nell’emisfero occidentale del pianeta, dove per scelte politiche le misure di protezione personale per diminuire la diffusione della pandemia, come mascherine e distanziamento, non sono state rese obbligatorie. Negli Stati Uniti – ci spiega Antonio Albanese, direttore di AGC Communication – la situazione è drammatica in diversi Stati, come in Tennessee, nel Sud Dakota, in Nebraska, in Oklahoma, che reclamato da Washington un intervento immediato, mentre in California si è registrato un incremento del 15% dei casi in soli due giorni. La situazione è esplosiva in Sud America. L’Argentina ha superato gli 1,2 milioni di casi. Colombia, Messico e Perù, entro la fine della settimana arriveranno tutti a superare la soglia di un 1 milione di contagi a livello nazionale.

In generale, la pandemia da Covid-19 ha messo in evidenza le criticità dei sistemi sanitari nazionali. Da questo punto di vista, è possibile avanzare un’osservazione: le problematiche maggiori si sono evidenziate in quegli Stati che nel corso degli anni hanno effettuato maggiori tagli alla spesa sanitaria e, in conseguenza di ciò, “delegato” alle strutture private i servizi sanitari per i cittadini. Ciò ha prodotto un mancato raccordo nazionale, così come è sorto un po’ ovunque il problema dei posti letto nei reparti di rianimazione. A ciò si aggiunge un’ulteriore considerazione. Dal 2008 l’OMS aveva messo in guardia il mondo in merito all’arrivo di una pandemia, avvertendo che la domanda da porsi doveva essere non “se” ma “quando” si sarebbe manifestata. I richiami a prepararsi ad un simile evento non stati ascoltati, e tutto il mondo si è dimostrato impreparato all’arrivo del Covid-19.

Un caso che merita di essere trattato “a latere” è quello della Cina. È un fatto che Pechino sapesse dell’esistenza di casi di “polmonite atipica” sul suo territorio già dallo scorso novembre. Il dott. Li Wenliang, un medico che lavorava nell’ospedale centrale di Wuhan, nel dicembre 2019 aveva pubblicamente avvisato del pericolo di questo nuovo virus, avvertendo della presenza di un focolaio epidemico nel suo nosocomio. Un appello rimasto inascoltato paradossalmente dalla stessa OMS, che sarebbe dovuta intervenire per tempo nella dichiarazione di emergenza internazionale. Il dott. Wenliang è deceduto il 7 febbraio scorso a causa del Covid-19, a soli 33 anni.

A quanto pare, per ragioni che in un prossimo futuro dovranno essere attenzionate, c’è stata un’evidente sottovalutazione del problema. L’On. Eugenio Zoffili, ha riportato la sua testimonianza diretta. Ai microfoni di Radio Sparlamento, l’On. Zoffili ha riferito che, in qualità di presidente della Commissione Bicamerale Schengen e a seguito dei preoccupanti dati che già dalla metà di gennaio erano disponibili attraverso la rete di informazioni Europol, chiese la sospensione degli accordi di Schengen in ben due occasioni: il 3 febbraio 2020 nell’ambito di una riunione a Palazzo Chigi, alla presenza del Premier Conte e del Capo della Protezione Civile; nonché l’11 febbraio al Ministro della Salute, Roberto Speranza, intervenuto in audizione proprio nella Commissione Schengen. In entrambi i casi la risposta fu negativa.

Ad ogni modo, i dati economici della Cina sono in controtendenza in rapporto alla situazione globale, registrando una crescita del PIL del 4,9% nel terzo trimestre di quest’anno. A differenza delle altre economie internazionali la Cina, essendo un’economia chiusa gestita da un partito unico al potere, ha potuto emanare dei prodotti finanziari ad hoc da vendere alle aziende nazionali indebitate. In pratica – ci spiega Graziella Giangiulio – il Governo cinese ha fornito liquidità alle aziende che erano in grado di riconvertirsi, per produrre all’interno del territorio cinese quei prodotti che prima della pandemia venivano importati. In questo modo la Cina ha risollevato l’economia, aumentato i posti di lavoro, e ha reso autosufficiente la sua produzione interna.

Anche sul fronte vaccini la Cina gioca un ruolo dominate, dal momento che dei 19 vaccini su cui è in atto la sperimentazione e che dovrebbero essere disponibili nel breve periodo, 11 sono a “marchio” cinese. Probabilmente bisognerà cominciare ad interrogarsi sugli scenari che si presenteranno alla fine di questa pandemia. Nel frattempo, sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione a livello internazionale per la condivisione dei dati sul Covid-19, in modo da trovare quanto prima una strategia comune per contrastare questo virus. La priorità è senza dubbio quella di debellare la pandemia e tornare a condurre una vita normale. Chi non ha risentito dell’effetto Covid è la Corea di Kim Jong Un, a cui in maniera ilare il direttore Albanese ha conferito la “palma d’oro” nella lotta ad un virus. Ma il primato resta in Antartide, con zero casi accertati!

Per tutti i particolari, vi invito ad ascoltare il podcast. Buon ascolto!

Cristina del Tutto