PAKISTAN. Imran Khan vuole rinegoziare il debito CPEC: Pechino dice no

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I debiti del Pakistan si aggravano, dato che le passività dovute ai progetti energetici finanziati dalla Cina, stabiliti nell’ambito del Corridoio Economico Cina-Pakistan, Cpec, superano i 31 miliardi di dollari e Pechino rifiuta di ristrutturare 3 miliardi di dollari di passività in scadenza che Islamabad probabilmente non pagherà. Il carico del debito, dovuto in gran parte per la costruzione di produttori di energia indipendenti, Ipp, su contratti di generazione di energia take-or-pay, è sostanzialmente più dei 19 miliardi di dollari investiti in totale negli impianti.

Il Pakistan è obbligato a pagare 5,9 miliardi di dollari alle compagnie elettriche per i soli pagamenti di capacità take-or-pay nei prossimi quattro anni entro il 2025. Questi comporteranno più pay che take con gli attuali tassi di utilizzo dell’energia. Il denaro è dovuto nonostante il fatto che molte delle centrali non stiano effettivamente producendo energia a causa della sovraccapacità e del fallimento delle autorità elettriche pakistane nello sviluppare la rete nazionale e i relativi sistemi di consegna per soddisfare pienamente la domanda della popolazione. I contratti e le loro condizioni, ora percepite come onerose, sono stati stipulati in un momento in cui il Pakistan ha affrontato gravi carenze di energia.

Stando ad Asia Times il “debito circolare”, cioè il profilo complessivo del debito del settore energetico, è in aumento da 7,2 miliardi di dollari nel 2018 a 15,8 miliardi nel 2021, ai 26,3 miliardi di dollari entro il 2025. Anche il pagamento della capacità si è gonfiato da 4,4 miliardi di dollari a 5,9 miliardi di dollari e aumenterà a 9,8 miliardi di dollari nei prossimi due anni. Il Pakistan è già entrato in quella che alcuni analisti vedono come una “zona di pericolo” per il debito sovrano, con passività e debiti totali di 294 miliardi di dollari che rappresentano il 109% in percentuale del PIL al 30 dicembre 2020.

Il governo deve circa 158,9 miliardi di dollari a creditori nazionali, di cui le imprese del settore pubblico devono circa 15,1 miliardi di dollari. I debiti esterni sono cresciuti allo stesso modo a 115,7 miliardi di dollari, con 11,3 miliardi di dollari dovuti al Club di Parigi, 33,1 miliardi di dollari a donatori multilaterali, 7,4 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale e 12 miliardi di dollari in obbligazioni internazionali.

I dati del Pakistan Bureau of Statistics rilasciati questo mese hanno rivelato che il deficit commerciale del paese ha registrato un aumento a due cifre nei 10 mesi del 2020-21 a 19,6 miliardi di dollari dai 17,4 miliardi di dollari del periodo corrispondente dell’anno scorso.

Il rapporto debito/Pil potrebbe raddoppiare al 220% del Pil entro la fine del 2023 se i debiti continuassero a crescere al ritmo attuale, andando a coincidere con la fine del mandato quinquennale del primo Ministro Imran Khan. Nel frattempo, il deficit fiscale è aumentato al 3,6% del Pil, o 10,8 miliardi di dollari, durante i primi nove mesi dell’anno in corso, nonostante un drastico taglio delle spese di sviluppo e la staticità delle spese per la difesa.

Il governo di Khan ha cercato invano l’anno scorso di rinegoziare i termini degli accordi di acquisto di energia con gli Ipp cinesi nel tentativo di far risparmiare al governo 5,2 miliardi di dollari sui costi dell’elettricità nei prossimi 10-12 anni. La richiesta di rinegoziare ha seguito un’inchiesta guidata da un ex presidente della Security and Exchange Commission of Pakistan che ha rivelato diffuse pratiche scorrette nel settore energetico: 16 Ipp hanno investito circa 60 miliardi di rupie e guadagnato oltre 400 miliardi di rupie di profitti in un periodo che va dai due ai quattro anni. Lo stesso rapporto ha indicato una perdita di 26,1 miliardi di dollari per lo stato dal settore energetico negli ultimi 13 anni attraverso la segnalazione gonfiata delle spese generali e dei costi operativi, compresi quelli per il consumo di carburante, le tasse bancarie e i costi di produzione di energia utilizzati per calcolare i sussidi statali.

Il rapporto ha rivelato che circa 16 Ipp, tra cui sette cinesi, hanno fatto profitti “a cascata” per un periodo da due a quattro anni. Anche se i loro accordi dicevano che potevano fare tra il 12-15% di profitti sui loro investimenti, alcuni hanno raccolto profitti tra il 70-90%, secondo il rapporto. Pechino ha rifiutato di cedere sulla richiesta di Islamabad di rinegoziare gli accordi di acquisto di energia, dicendo che qualsiasi alleggerimento del debito richiederebbe alle banche cinesi di modificare i termini e le condizioni in base ai quali i crediti sono stati estesi. Le banche, tra cui la China Development Bank e la Export-Import Bank of China, non erano disposte a rivedere nessuna delle clausole dell’accordo raggiunto in precedenza con il governo, ha detto Pechino in risposta alla richiesta di rinegoziare i termini.

Graziella Giangiulio