Pakistan: termina il golpe (soft)

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PAKISTAN – Islamabad 29/08/2014. Ancora una volta, i militari hanno avuto la meglio.

In quello che i leader del movimento di protesta, Imran Khan e Muhammad Tahir ul-Qadri, avevano ribattezzato “il giorno della rivoluzione”, le forze armate hanno confermato di detenere una loro leadership incontrastata, ribadendo un concetto molto chiaro: in Pakistan non ci sarà spazio per un’effettiva democrazia, né oggi né negli anni a venire.
Iniziate il 14 agosto, lo scopo delle proteste era quello di spingere il primo ministro Nawaz Sharif a rassegnare le dimissioni, poiché accusato di aver organizzato brogli diffusi alle elezioni del maggio 2013 (dove aveva ottenuto una netta vittoria). Circa 15-20.000 persone si erano riversate nella capitale, spingendo il governo ad affidare proprio alle forze armate il compito di garantire la sicurezza di Islamabad. Sebbene il numero dei manifestanti sia progressivamente diminuito, si era venuta a creare una situazione di stallo, da cui oggi i militari tentano di trarre il massimo beneficio. Dopo il fallimento di vari round negoziali, ieri il governo ha affidato al capo di stato maggiore, Raheel Sharif (nessun rapporto di parentela con il capo dell’esecutivo), il compito di mediare tra le parti. Nella notte, egli ha tenuto dei vertici con i leader del movimento di protesta, apparsi subito inclini a trovare un accordo che sia garantito dai militari. Nella giornata di oggi, il capo di stato maggiore incontrerà Nawaz Sharif per ragguagliarlo sui risultati degli incontri. È probabile che si vada verso un accordo che preveda elezioni anticipate e le dimissioni del capo del governo locale del Punjab, Shezbaz Sharif (fratello di Nawaz), in cambio della cessazione delle proteste. Le forze armate si faranno, inoltre, garanti di un’inchiesta sulle presunte irregolarità elettorali. Ieri era stata accolta un’altra richiesta dei manifestanti: l’iscrizione sul registro degli indagati dei fratelli Sharif e di altre 19 persone, per il ruolo svolto durante gli avvenimenti di Lahore del 17 giugno, quando 14 sostenitori di Tahir ul-Qadri rimasero uccisi in scontri con la polizia. Si tratta solo di una passo preliminare e potrebbero volerci mesi prima di un eventuale processo.
L’attribuzione di un ruolo di mediazione al capo delle forze armate rappresenta solo una parte di un patto più ampio tra autorità civili e militari, in virtù del quale ai militari verrà affidato il pieno controllo della politica estera (in particolare, la gestione dei rapporti con India e Afghanistan) e di quella di sicurezza. Nawaz Sharif resterà alla guida del governo, senza, tuttavia, poter esercitare effettivi poteri, dovendo probabilmente limitare la sua azione alla gestione degli affari ordinari. Una sorta di governo ad interim.
In molti sospettano che le proteste siano state pilotate sin dall’inizio dai militari, fortemente irritati dal processo contro Pervez Musharraf (capo delle forze armate dal 1999 al 2007) e dall’apertura di Sharif nei confronti dell’India. Ipotesi che traggono forza dall’epilogo verso cui pare si stia andando. Troppo rischioso sarebbe stato un intervento diretto. Un colpo di stato delle forze armate, infatti, avrebbe isolato il Pakistan a livello internazionale, privandolo dell’assistenza finanziaria e militare oggi offerta dagli Stati Uniti e da altri Paesi.
L’ottimismo che aveva accompagnato le elezioni del maggio 2013, primo caso di passaggio di poteri tra due governi democraticamente eletti, è ormai un lontano ricordo.