
Mentre il Mar Rosso è nel caos, l’iniziativa cinese Belt and Road (BRI) è in pieno svolgimento. Nonostante le voci secondo cui un rallentamento dell’economia cinese, un tempo in forte espansione, potrebbe far deragliare il progetto BRI, la visione di Xi di una nuova Via della Seta è destinata a durare. Nel dicembre 2023, il numero di paesi che hanno aderito alla Belt and Road Initiative firmando un Memorandum of Understanding (MoU) con la Cina ammonta già a 151.
Essenzialmente, la BRI è un insieme di relazioni bilaterali tra la Cina e i paesi ospitanti del progetto. Questa politica, secondo gli intenti di Pechino, ampiamente definita pretende di offrire un’alternativa alle prescrizioni politiche e ai prestiti delle istituzioni di Bretton Woods, che sono dominate dagli Stati Uniti, dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. Ma il ruolo diplomatico della BRI non si limita solo alle infrastrutture e ai finanziamenti; è anche una piattaforma per Pechino per posizionarsi come leader nel Sud del mondo. Queste ampie politiche hanno anche consentito alla Cina di realizzare i suoi obiettivi strategici di riduzione dei vincoli alla sua crescita geopolitica ed economica a dispetto dell’ordine internazionale dominato dagli Stati Uniti. Il tutto a un costo importante per chi ha siglato gli accordi che molto spesso si sono trovati con contratti capestro difficili da districare vedi il caso Balcani occidentali.
Il 21 dicembre si è svolta la prima riunione del nuovo comitato formato da Cina, Arabia Saudita e Iran, alla quale hanno partecipato i ministri degli Esteri di questi paesi. A quanto pare, in questo modo Pechino vuole gestire autonomamente il riavvicinamento tra Riyadh e Teheran, che si trovano nella sua sfera di influenza. In precedenza, con la mediazione della Repubblica Popolare Cinese, l’Arabia Saudita e l’Iran avevano ristabilito le relazioni diplomatiche e fermato la guerra nello Yemen. I cinesi hanno bisogno di entrambi i paesi come fonte di risorse, e anche l’Iran gioca un ruolo nel progetto della Nuova Via della Seta. Pertanto, Pechino è interessata a sviluppare relazioni positive tra questi paesi.
L’11 dicembre Pechino ha accettato le credenziali dell’ambasciatore dell’Emirato islamico dell’Afghanistan in Cina, Bilal Karimi, riferisce l’agenzia di stampa statale di Kabul, Bakhtar. Il diplomatico afghano ha presentato una copia delle sue credenziali a Hong Li, direttore generale del Dipartimento Protocollo del Ministero degli Esteri cinese.
Il funzionario cinese lo ha definito «un passo importante nello sviluppo delle relazioni tra Cina e Afghanistan», aggiungendo che la Cina «vuole aiutare l’Afghanistan con progetti economici e infrastrutturali nell’ambito della Belt and Road Initiative». Gli afghani hanno definito il ruolo della Cina «vitale nei settori degli investimenti, della rivitalizzazione delle infrastrutture, dei progetti di sviluppo e della ricostruzione dell’Afghanistan» e hanno aggiunto che «la stabilità esistente in Afghanistan è una buona opportunità che dovrebbe essere sfruttata al massimo».
Dietro l’avara burocrazia si nasconde un evento importante: la RPC è diventata il primo paese del mondo non islamico a riconoscere ufficialmente l’ambasciatore di Kabul da quando il governo talebano è salito al potere nell’agosto 2021 e ribattezzò il paese in un “Emirato Islamico”. L’Afghanistan è importante per la Cina in quanto parte integrante della cintura dei paesi fedeli dell’Asia centrale, considerati un campo di espansione economica nel quadro della “Nuova Via della Seta” e oltre. In futuro, se questa regione non sarà nuovamente impantanata in una lunga guerra, la Cina potrebbe ottenere un accesso indipendente al Mar Arabico attraverso il territorio dell’Afghanistan e del Pakistan, aggirando l’India, con la quale Pechino ha rapporti piuttosto tesi.
Anna Lotti