NATO. Torna prepotente l’opzione di una guerra nucleare in Europa

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Una serie di studi della Rand Corporation mostra che la possibilità di un’escalation nucleare in un conflitto tra l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico e la Russia sulla regione baltica è più alta di quanto si possa immaginare. 

Per Rand, il modo migliore per evitarla sarebbe investire di più nella difesa convenzionale dell’Alleanza. Durante la Guerra Fredda la Nato era in inferiorità numerica rispetto alle forze del Patto di Varsavia, e avrebbe avuto grandi difficoltà a fermare un attacco sovietico con armi convenzionali. Dal momento della sua formazione, la Nato si è affidata alla minaccia di un’escalation nucleare per mantenere la deterrenza, riporta Bloomberg. Gli strateghi americani svilupparono modelli elaborati e teorie della deterrenza; Stati Uniti e le forze Nato hanno regolarmente effettuato esercitazioni che simulavano il ricorso alle armi nucleari per rendere credibile la strategia.

Dopo la fine della Guerra Fredda, Le tensioni con la Russia si allentarono e la strategia nucleare divenne una reliquia ma oggi, con la rinnovata assertività della Russia purtroppo sta ritornando in primo piano.

La Nato non ha la capacità di impedire alle forze russe di invadere agilmente Estonia, Lettonia e Lituania; i russi sarebbero alle porte delle capitali baltiche in due o tre giorni; le forze Nato esistenti nella regione verrebbero distrutte o spazzate via. La Nato potrebbe rispondere mobilitandosi per una guerra più lunga per liberare i paesi baltici, ma ciò richiederebbe una sanguinosa e pericolosa campagna militare.

La controffensiva convenzionale della Nato è proprio la situazione che la dottrina nucleare russa sembra voler evitare. I funzionari russi capiscono che il loro paese perderebbe in una lunga guerra contro la Nato. 

Così il Cremlino ha segnalato che potrebbe effettuare attacchi nucleari limitati per costringere l’alleanza a fare la pace alle condizioni di Mosca. Questo concetto è noto come “escalate to de-escalation”, e c’è un numero crescente di prove che i russi sono seri al riguardo.

Una guerra NATO-Russia potrebbe quindi diventare nucleare, per scelta deliberata o per un errore di calcolo. Cosa fare allora? Un’opzione sarebbe il ritiro dell’Occidente dal teatro baltico perché il rischio nucleare non vale la candela. Il problema è che non difendere gli Stati baltici svaluterebbe la garanzia dell’articolo 5 su cui poggia la Nato: un attacco a uno è un attacco a tutti. Questo dato potrebbe essere ripetuto su tanti altri teatri su cui sono impegnati gli Usa (ad esempio un attacco cinese alle Filippine), mettendo fine al sistema pacifico che ha retto per decenni.

Altra opzione, presente nella Nuclear Posture Review 2018, sarebbe quella di ideare nuove opzioni nucleari limitate come mezzo per rafforzare la deterrenza e dissuadere la Russia dal perseguire una strategia di escalation to de-escalation: armi nucleari a basso rendimento e così via.

La consapevolezza che gli Stati Uniti hanno le proprie opzioni nucleari “tattiche” potrebbe iniettare maggiore cautela nei calcoli russi. E’ possibile, riporta Rand ripreso da Bloomberg, che attacchi nucleari limitati all’inizio di un conflitto baltico potrebbero convincere il Cremlino che i rischi di procedere sono inaccettabili.

Evidenti sono però i rischi: la Russia potrebbe confondere un attacco limitato contro obiettivi militari nei Paesi Baltici come parte di un attacco nucleare più grande contro la Russia e reagire; non contando che gli Usa userebbero atomiche sul territorio di suoi alleati

Terza opzione è rafforzare la posizione militare convenzionale Nato per rendere la campagna russa molto più difficile e più costosa, dispiegando una forza Nato potenziata di circa 30.000 uomini. Questa forza sarebbe abbastanza grande da impedire alle truppe russe di distruggerla in un lampo o di aggirarla all’inizio di un conflitto evitando molte delle dinamiche di escalation nucleare. Il costo? Le stime vanno da 8 miliardi di dollari a 14 miliardi di dollari di costi iniziali, più 3 miliardi di dollari a 5 miliardi di dollari di spese operative annuali.

Antonio Albanese