NAGORNO KARABAKH. Gli attivisti azeri e il nuovo modo di assediare l’Artsakh

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Dopo la sua vittoria nella seconda guerra del Karabakh del 2020, in cui ha riconquistato i tre quarti del territorio detenuto dalla non riconosciuta Repubblica dell’Artsakh (nota anche come Nagorno-Karabakh), l’Azerbaigian ha continuato a cercare il controllo sul resto del Karabakh.

Questi sforzi si sono solo intensificati da quando la Russia, le cui forze di pace in Karabakh garantiscono l’accordo di cessate il fuoco del 2020, è impegnata militarmente in Ucraina un anno fa, una mossa che ha indebolito la forza e l’influenza di Mosca, riporta BneIntelliNews.

Mentre la maggior parte delle mosse dell’Azerbaigian sono arrivate sotto forma di offensive militari, a dicembre Baku ha trovato una nuova tattica. L’11 dicembre, un gruppo di “eco-attivisti” azeri ha allestito un campo di protesta fuori dalla capitale del Nagorno-Karabakh, Stepanakert, bloccando l’unica strada che collega l’enclave con l’Armenia e il mondo esterno.

I manifestanti, che sono stati collegati al governo azero, hanno bloccato tutto il traffico in entrata e in uscita dal Karabakh, ad eccezione di una manciata di veicoli russi di mantenimento della pace e della Croce Rossa. Il risultato è stato scarsità di cibo, interruzioni di corrente e disoccupazione di massa in Karabakh, mentre la vita si ferma per i centomila residenti del territorio. Nonostante la crescente pressione internazionale per riaprire la strada, l’Azerbaigian e il suo leader, Ilham Aliyev, hanno mostrato pochi segnali che porranno presto fine al blocco.

Goris, ultima grande città in Armenia prima del confine e della strada per il Karabakh, è diventato il principale testimone di questa situazione. Numerosi hotel della città sono pieni di armeni del Karabakh che si trovavano in Armenia al momento della chiusura della strada e da allora non sono più riusciti a tornare a casa. Il governo locale, sostenuto da Yerevan, li sta sostenendo come meglio può.

Il governo ha pagato affinché questi “esuli” bloccati rimangano negli hotel locali per tutto il tempo di cui hanno bisogno. Le foto e i video dei “manifestanti” lo fanno sembrare più una festa che altro. I “manifestanti” sono in condizioni confortevoli, con cibi caldi e rifornimenti portati dalla vicina Shusha, sotto il controllo dell’Azerbaigian; durante i recenti Mondiali di calcio, sono stati eretti enormi schermi per consentire agli attivisti azeri di godersi le partite. Nel frattempo, gli armeni del Karabakh sono al buio a Stepanakert, a pochi chilometri di distanza.

Mentre i manifestanti azeri si sono accampati lungo la strada, i 2.000 caschi blu della Russia non hanno fatto alcun tentativo per rimuoverli. Nonostante fossero obbligati dall’accordo di cessate il fuoco del 2020 a garantire il libero passaggio di persone e merci lungo la strada, i militari di Mosca hanno invece agito come taciti esecutori del blocco, stabilendo barriere che separano gli azeri da ogni possibile contatto con gli abitanti assediati del Karabakh dall’altro lato.

Il terrore psicologico della situazione è il più difficile. Nessuno sa quando la strada riaprirà e quanto tempo ci vorrà prima che l’Azerbaigian la chiuda di nuovo.

Lucia Giannini

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