MYANMAR. Non è solo uno scontro tra Buddisti e Rohingya

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«Gli attacchi dell’agosto 2017, compiuti da Al-Yaqin o Arakan Rohingya Salvation Army, Arsa, che il governo del Myanmar ha designato come organizzazione terroristica, hanno spinto la regione di Rakhine in una nuova crisi. Gli attacchi sono anche stati utilizzati dai nazionalisti buddisti radicali nel resto del paese per promuovere la loro agenda politica. Mentre le dinamiche in gioco nel Rakhine sono per lo più guidate da paure e rimostranze locali, l’attuale crisi ha portato a un più ampio picco di sentimenti anti-musulmani, che ha fatto riemergere lo spettro della violenza comunitaria in tutto il paese, che potrebbe mettere a repentaglio la transizione del paese».

Così apre il nuovo report dell’International Crisis Group, Icg, dal titolo Buddism and State Power in Myanmar.

Dall’inizio della liberalizzazione politica nel 2011, il Myanmar ha visto una recrudescenza nazionalista buddista, fortemente anti musulmana in tutto il paese. In Myanmar, l’organizzazione nazionalista più importante è l’Associazione per la protezione della razza e della religione, MaBaTha dall’acronimo in lingua birmana, composta da monaci, “suore” e laici; il governo si è impegnato a fondo per ridurre le attività di questa organizzazione e spingere l’autorità buddista più autorevole del Myanmar a vietarlo. Sforzi in gran parte inefficaci se non controproducenti. Il report Icg tenta di fornire una comprensione più sfumata delle fonti di sostegno sociale per MaBaTha, a differenza di semplici rappresentazioni monodimensionali.

MaBaTha è visto da molti dei suoi sostenitori come un diffuso movimento sociale e religioso dedicato soprattutto alla protezione e promozione del buddismo in un’epoca di cambiamenti e incertezze senza precedenti in un paese e in una società in cui storicamente il buddismo e lo stato sono stati inseparabili.

Il consigliere di Stato Aung San Suu Kyi e la sua Lega nazionale per la democrazia hanno una visione liberale generalmente occidentale che tutela i diritti e la diversità delle minoranze rispetto alla protezione della fede buddista, gli sforzi del governo per colpire MaBaTha hanno solo amplificato la loro fama di difensori della fede. «Se il governo dichiarasse illegale MaBaTha ci saranno gravi, probabilmente violente ripercussioni in tutto il paese (…) la posta in gioco per il paese è estremamente elevata (…) In un contesto di tensioni c’è un rischio reale che queste azioni possano contribuire alla violenza. La più grande minaccia potrebbe non essere il MaBaTha stesso, ma le dinamiche che ha creato e gli individui con poteri reali che possono sfuggire al suo controllo».

Maddalena Ingroia