Il processo di pace di Panglong, Myanmar, è fermo dopo lo stop di gennaio, il rinvio a maggio e la mancata convocazione di maggio del governo alle organizzazioni armate militari ed etniche, Eao. L’iniziativa in fase di stallo è la politica di Aung San Suu Kyi, che durante e dopo le due precedenti riunioni dell’iniziativa, tenutesi nel 2016 e nel 2017, non è riuscita a sedare le controversie. Il governo di Suu Kyi vuole che gli eserciti etnici firmino un accordo di cessate il fuoco a livello nazionale, ma che finora ha attirato solo pochi gruppi, riporta Asia Times.
I rappresentanti dell’evo che hanno rifiutato di firmare hanno detto che hanno bisogno di una soluzione per la creazione di un’unione federale prima di firmare qualsiasi accordo sulla rinuncia alle armi. L’esercito del Myanmar, il Tatmadaw, vede le cose in modo diverso. Il 27 marzo, il generale comandante in capo, Min Aung Hlaing, ha chiarito in un discorso pronunciato in occasione della Giornata delle forze armate che i militari continuano a dare priorità alla protezione della costituzione nazionale, che è stata adottata dopo un referendum nel 2008 che prevede uno Stato unitario, non uno Stato federale. In precedenti discorsi il leader militare ha affermato di considerare il disarmo, la smobilitazione e la reintegrazione, come un elemento centrale del processo di pace.
Il quadro è ulteriormente complicato da evidenti disaccordi tra il governo e i militari. Il nuovo presidente Win Myint ha detto nel suo discorso inaugurale il 30 marzo che una delle sue priorità sarebbe stata quella di modificare la costituzione per gettare «le basi per la costruzione di una repubblica federale democratica». Nonostante l’impegno dichiarato del governo a favore del federalismo e di una soluzione politica alla guerra civile, Suu Kyi non si è inspiegabilmente discostata dalla richiesta dei militari che i gruppi firmino il disarmo prima di avviare qualsiasi dialogo.
Suu Kyi ha ereditato questa rigida politica dall’ex presidente appoggiato dai militari Thein Sein, un ex soldato che, nell’ottobre 2015, aveva affermato che “otto gruppi armati etnici” avevano firmato l’accordo; di questi, solo tre, l’Unione Nazionale Karen, l’Esercito Buddista Democratico Karen e il Consiglio di Restaurazione dello Stato Shan, hanno in realtà delle forze armate. Gli altri gruppi sono più simili a organizzazioni non governative che ad eserciti.
Lucia Giannini