
Il tema dell’immigrazione è molto sentito nel nostro Paese. A darci qualche risposta è la rilevazione fatta da Demos & Pi per Repubblica poco tempo fa.
Per il 33% degli italiani l’immigrato è visto come un “pericolo”; un dato percentuale elevato, quasi un terzo dei cittadini. sarebbe troppo semplice, troppo manicheo pensare che solo l’elettorato di destra e di centro-destra possa pensarla così; infatti il sondaggio ha fatto scalpore per il cambiamento dell’orientamento politico degli elettori dal 2014 al 2017. In totale un terzo degli elettori dei quattro maggiori partiti, cioè Partito Democratico, Forza Italia, Lega, MoVimento 5 Stelle, considera gli immigrati “un pericolo”.
Eppure l’Italia si dice essere un paese profondamente cattolico e come tale lontano dall’intolleranza; la recente Giornata del Migrante e del Rifugiato, celebrata da Papa Francesco è stata un successo. Come intendere questa dicotomia dei dati statistici con la partecipazione corale ad un simile evento che celebra l’accoglienza cristiana e umana nei confronti di chi viene da paesi lontani fuggendone per guerre e carestie oppure solo per cercare un futuro migliore per sé e la famiglia?
Le stesse istituzioni nazionali italiane a diversi livelli cercano di affrontare il fenomeno sottolineandone la dimensione globale: il presidente Mattarella, nella sua lettera di inizio anno rivolta al Papa, ha scritto: «L’Unione Europea deve affrontare il fenomeno migratorio con lungimiranza e in maniera strutturale». Ma quale lungimiranza si chiede alle famiglie italiane ed europee, e quali strutture comuni se su questo tema i paesi dell’est europeo alzano muri e barriere?
Nell’Omelia pronunciata durante la messa lo scorso 14 gennaio, Papa Francesco ha cercato di dare una risposta ai molti dubbi e paure che vivono gli italiani egli europei di fronte al fenomeno migrazione: «avere dubbi e timori non è un peccato. Il peccato è lasciare che queste paure determinino le nostre risposte, condizionino le nostre scelte, compromettano il rispetto e la generosità, alimentino l’odio e il rifiuto (…) Nel mondo di oggi, per i nuovi arrivati, accogliere, conoscere e riconoscere significa conoscere e rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti (…) Significa pure comprendere le loro paure e apprensioni per il futuro. Per le comunità locali, accogliere, conoscere e riconoscere significa aprirsi alla ricchezza della diversità senza preconcetti, comprendere le potenzialità e le speranze dei nuovi arrivati, così come la loro vulnerabilità e i loro timori (…) L’incontro vero con l’altro non si ferma all’accoglienza, ma ci impegna tutti nelle altre tre azioni che ho evidenziato nel Messaggio per questa Giornata: proteggere, promuovere e integrare (…) Non è facile entrare nella cultura altrui, mettersi nei panni di persone così diverse da noi, comprenderne i pensieri e le esperienze (…) E così spesso rinunciamo all’incontro con l’altro e alziamo barriere per difenderci. Le comunità locali, a volte, hanno paura che i nuovi arrivati disturbino l’ordine costituito, “rubino” qualcosa di quanto si è faticosamente costruito». Nella sua risposta il Papa è entrato anche dall’altra parte della barricata, quella di chi arriva: «Anche i nuovi arrivati hanno delle paure: temono il confronto, il giudizio, la discriminazione, il fallimento. Queste paure sono legittime, fondate su dubbi pienamente comprensibili da un punto di vista umano. Il peccato è rinunciare all’incontro con l’altro, con il diverso, con il prossimo, che di fatto è un’occasione privilegiata di incontro con il Signore».
L’invito di Francesco ad accogliere è stato al centro di dibattiti mediatici e polemiche che spesso nulla avevano a che fare con il tema in sé ma che hanno assunto toni da campagna elettorale su un possibile rischio “invasione” per l’Italia prima e l’Europa dopo.
«Spesso il dibattito politico, quando è gridato, crea caricature. Così è avvenuto per le parole di Papa Francesco riguardo ai migranti. Il suo messaggio è stato ridotto a un’esortazione morale all’accoglienza. Ma il suo pensiero è più complesso: conosce articolazioni e sviluppi. Certo si muove dall’esigenza di non chiudere le porte ai drammi dei rifugiati. C’è però un dopo, in cui l’integrazione è passaggio decisivo e condizione essenziale. Per Francesco, va preservata assolutamente l’identità dei paesi ospitanti», ha scritto acutamente il professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di sant’Egidio commentando sia la giornata che il dibattito successivo.
Per Riccardi «Il Papa non pensa allo sviluppo di comunità separate in futuro, ma alla fusione di culture a partire dall’identità del Paese ospitante (….) Non va demonizzata la paura dell’uomo globale di fronte a un mondo senza frontiere che appare invasivo e di cui l’immigrato è quasi la metafora (…) Il Papa non è un “fondamentalista” dell’accoglienza o un fustigatore dei timori europei. Auspica però che le paure non “condizionino le nostre scelte”: “alimentino l’odio e il rifiuto”. Altrimenti “rinunciamo all’incontro con l’altro — continua — e alziamo barriere per difenderci”. È la scelta praticata dai paesi (cattolici) dell’Est europeo. (…) Il futuro non si costruisce però con la paura. Il rispetto delle leggi e dell’identità delle società ospitanti da parte dei nuovi arrivati è una garanzia per tutti».
Redazione