MEDIO ORIENTE. Cambia lo scacchiere con Pechino al centro

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L’accordo tra Riyadh e Teheran e la possibilità per la Sira di rientrare con molta probabilità nella Lega Araba segno un cambiamento deciso nel Medio Oriente.

Il 10 marzo, con un accordo mediato dalla Cina e firmato a Pechino, l’Arabia Saudita e l’Iran hanno concordato di ristabilire le relazioni diplomatiche e di riaprire le ambasciate dopo una pausa di sette anni. È un primo passo verso la possibile soluzione della guerra in Yemen.

Damasco nella Lega Araba sanerebbe un buco nei rapporti tra i paesi dell’area, che ha creato disequilibri nell’intero scacchiere. Le implicazioni di questi due sviluppi per la politica mediorientale sono sostanziali, non da ultimo per i recenti sviluppi sociali e politici in Israele e Iran.

Alcuni Stati arabi vogliono normalizzare le relazioni con Damasco, anche se gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali si oppongono. Ciò dovrebbe comportare un alleggerimento delle sanzioni e una maggiore integrazione economica regionale. Significherebbe anche far rientrare la Siria nella Lega Araba, da cui è stata sospesa dal 2012 in seguito alla brutale repressione dei manifestanti della Primavera araba. La mossa è sostenuta dagli Emirati Arabi Uniti e, insieme all’accordo tra Arabia Saudita e Iran, ha il potenziale per riordinare l’equilibrio di potere nella regione.

Secondo le prime indicazioni, i beneficiari di questi due sviluppi saranno la Cina e le singole autocrazie regionali coinvolte. Pechino trarrà vantaggio dall’aver assunto un ruolo chiave nel facilitare l’accordo, accrescendo così il proprio status nel Medio Oriente islamico e nel Nord Africa.

Anche la Russia probabilmente ne beneficerà, anche se meno direttamente. Nell’ultimo decennio ha coltivato con cura i suoi legami militari con la Siria, a partire dalla piccola struttura navale di Tartus, che ha il potenziale di fornire alla Russia un porto mediterraneo in acque calde. Il porto di Tartus è al centro di una significativa espansione che include la costruzione di un nuovo bacino galleggiante per la riparazione delle navi.

La Russia ha inoltre da tempo l’uso della base aerea siriana di Hmeimim e ha recentemente ampliato una delle piste. La base è ora una sorta di hub di trasporto militare per i collegamenti con la Libia e gli Stati più a sud del Sahel. Mosca mantiene anche stretti legami militari con l’Iran, un rapporto che attualmente sta dando i suoi frutti con la fornitura di droni armati per la guerra in Ucraina, riporta The Conversation.

Se Cina e Russia beneficiano dei probabili cambiamenti, che ne sarà dell’altro Stato chiave della regione, Israele? La risposta a lungo termine del governo Netanyahu alle nuove circostanze dipenderà molto dallo status dell’accordo nucleare iraniano, attualmente defunto.

Un recente periodo di tensione è stato allentato dalla rapida diplomazia del capo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica delle Nazioni Unite, Rafael Grossi, il mese scorso. In seguito si è parlato di una svolta sulle attività di verifica e monitoraggio. Per il momento, la possibilità di una crisi è diminuita ma non scomparsa.

Il piano d’azione globale congiunto, Jcpoa ha coinvolto Iran, Stati Uniti, Cina, Francia, Russia, Germania e Regno Unito. L’accordo è entrato in vigore nel 2015. Fin dall’inizio non è stato apprezzato da un governo israeliano profondamente sospettoso nei confronti dell’Iran. Le preoccupazioni di Israele sono state poi in parte placate da Donald Trump, che nel 2018 ha abbandonato il trattato e rafforzato il regime di sanzioni. Da allora, l’Iran si è considerato libero dai limiti, ma li ha erosi ai margini piuttosto che abbandonarli completamente.

Se la Casa Bianca ha finora evitato di condannare apertamente le azioni dell’Iran, non così il primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Ma al momento l’approccio del governo Netanyahu risente anche del profondo malessere politico e sociale che sta attraversando Israele.

Tradizionalmente, i sospetti nei confronti di Teheran sono diffusi in tutto lo spettro politico israeliano. Questo è radicato nell’idea di Israele come bastione della democrazia liberale di stampo occidentale in un mare di autocrazia islamica. Ma ora la dimensione religiosa in evoluzione – e sempre più estrema – della politica israeliana porta a un livello ancora più forte la preoccupazione per le reali intenzioni nucleari dell’Iran.

Israele può essere riuscito a rafforzare i legami economici con alcuni Stati del Golfo ricchi di petrolio e gas, ma è tutt’altro che convinto che il disgelo politico tra Iran e Arabia avrà un qualche effetto sulle intenzioni nucleari dell’Iran.

In questo probabilmente ha ragione. Teheran ha poca fiducia nella stabilità dell’approccio degli Stati Uniti al Jcpoa dopo quanto accaduto sotto Trump. Quindi, sebbene gli sviluppi delle ultime due settimane possano essere accolti con favore da molti, almeno su questo punto poco è cambiato.

Anna Lotti

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