Per capire quanto pericolosa sia essere la situazione mediorientale alle nostre porte, vale la pena esaminare la teoria dell’escalation del conflitto dell’economista austriaco Friedrich Glasl pubblicata per la prima volta nel 1997. Si tratta di un modello in nove fasi di escalation del conflitto.
In estrema sintesi: il primo livello è quando un conflitto è facilmente o prontamente risolto, ma quando non si raggiunge una risoluzione, le posizioni da entrambe le parti della discussione si irrigidiscono e la frustrazione inizia a crescere.
Il secondo avviene quando le parti in conflitto cercano di sostenere la propria causa, sperando di ottenere un vantaggio nell’opinione globale.
Il terzo vede gli avversari iniziare ad agire. Nessuna delle due parti vuole cedere un vantaggio all’altra, mentre ogni sensazione che la discussione potrebbe mitigare il conflitto è scomparsa nell’antagonismo reciproco e nella sfiducia.
Nel quarto, le parti in conflitto ricorrono a una retorica “noi contro loro” nel tentativo di costruire coalizioni e attrarre sostegno.
Nel quinto, descritta come “perdita della credibilità”, uno o l’altro degli antagonisti sente di essersi macchiato agli occhi della comunità nel suo insieme. La reputazione non conta più tanto quanto il raggiungimento dei propri scopi. A volte una parte o l’altra commette un atto che ritiene l’abbia isolata, il che serve solo a rafforzare la propria posizione.
Il sesto è caratterizzato da una serie di minacce o ultimatum. Ciò può portare a una spirale di ostilità poiché le parti in conflitto cercano credibilità fissando una tempistica per una minaccia, il che a sua volta aumenterà la pressione su entrambe le parti. Ciò può anche vincolare un’altra delle parti in guerra a un corso d’azione da cui ci sono poche possibilità di ritirarsi.
Il settimo livello vede gli antagonisti scambiarsi i primi colpi limitati in risposta alle minacce fatte.
Nell’ottavo si intensificano i colpi, con l’attenzione rivolta al tentativo di danneggiare o distruggere, la capacità di risposta dell’avversario o di mettere in discussione la legittimità del leader dell’altra parte. Spesso tutto ciò può portare una o l’altra delle parti a frammentarsi in fazioni interne in guerra tra di loro, rendendo la situazione sempre più incontrollabile.
Il nono livello vede la minaccia per una o l’altra delle parti diventare esistenziale: i due contendenti cadono “insieme nell’abisso”; ogni cautela viene abbandonata poiché l’unico obiettivo è l’annientamento totale dell’avversario: guerra totale.
La situazione tra Israele e Iran oggi può essere fatta rientrare nel livello sette: si scambiano colpi evitando lo scontro diretto.
Entrambe le parti vogliono chiaramente dimostrare il loro potere e la loro influenza nella regione e si sono già scambiati i primi colpi reciproci. Ma la posta in gioco potrebbe aumentare se l’Iran sentisse l’urgente bisogno di proteggere i suoi rappresentanti, peraltro già deceduti nei raid israeliani. Per Israele, i suoi leader hanno a lungo sostenuto che la sua stessa esistenza è in bilico.
Entrambe le parti starebbero utilizzando attacchi limitati per segnalare la loro riluttanza a intensificare. Ma la posta in gioco è molto alta.
Il margine di manovra politico diplomatico, al dirà della retorica interna dei due paesi è chiaro: almeno fino ad ora, né Israele né l’Iran vogliono entrare nei livelli successivi, previsti da Glasl.
Tutto si giocherà nel complesso diplomatico salvo nuovi interventi esterni.
Antonio Albanese
Segui i nostri aggiornamenti su Spigolature geopolitiche: https://t.me/agc_NW e sul nostro blog Le Spigolature di AGCNEWS: https://spigolatureagcnews.blogspot.com/