«Cercavo di scrivere tutto quello che mi passava per la testa. Cercavo di metterci palle e cuore e sangue, come mi aveva consigliato una volta uno scrittore degno di questo nome. Alcune volte questo mi devastava, mi lasciava semplicemente senza forze».
Nel sud degli Stati Uniti, dove il Mississipi traccia le sue curve, conosciamo Leon Barlow durante i suoi 92 giorni di una vita rapita dal demone della scrittura. Pervaso da un apparente pulsione autodistruttiva che nasconde invece l’idea del sacrificio per l’amore della propria arte, il protagonista, tra alcool, miseria e fallimenti continui, persevera in direzione ostinata e contraria nella speranza di veder pubblicato un proprio racconto nonostante i continui rifiuti.
«Io per la mia arte, ero rimasto con trentadue dollari, ed ero sul punto di morire di fame».
Non è la storia in quanto tale ad essere originale, al contrario, in questo libro troviamo ingredienti abbastanza familiari che compongono il puzzle letterario. Quello che colpisce è il modo in cui la storia viene raccontata e sviscerata.
Il personaggio scrive, beve, ama e respira in maniera così naturale da apparire agli occhi del lettore una reale e normale possibilità di vita; il vero protagonista di questo romanzo sono le parole. La traduzione letteraria dello sguardo sullo spazio narrativo è una sorta di sostanza psicotropa che gioca con le sinapsi del lettore relegandolo dentro i confini epidermici del personaggio.
I problemi con l’alcool, i sensi di colpa per non riuscire ad essere un buon padre e non essere stato un buon marito, la miseria e la vicinanza con quel confine estremo che odora di morte sono tutte conseguenze subordinate a ad un istinto che risponde solo al desiderio di scrivere.
Con poche parole l’autore ci confida le insicurezze del protagonista e riesce a svelare il nucleo di quell’amore paterno che difficilmente, quando cerchiamo di capirlo, riusciamo ad afferrare.
Leon Barlow è un perdente consapevole che ha scelto di vivere la propria vocazione.
«Considerai l’idea di un lavoro a tempo pieno per circa quindici secondi. Poi mi resi conto che, visto che avevo scelto di essere un miserabile, volevo essere un miserabile a tempo pieno».
Così come il protagonista del libro, Larry Brown è stato a lungo ignorato dagli editori che spesso lo hanno rifiutato.
Quando fu scoperto come scrittore faceva il pompiere a Oxford in Mississipi, sua città natale.
Morì il 24 Novembre del 2004, a soli 53 anni, per un attacco cardiaco.
Vorrei portare all’attenzione del lettore un passaggio del libro perché non basterebbero fiumi di parole per cercare di spiegare cosa intendo quando parlo di talento letterario: «Sapevo che esisteva un amore così forte. Era quello che io sentivo per i miei figli. Guardai accanto a me e vidi la madre e il padre di Jerome e Kerwood White che si sostenevano a vicenda, guardando quelle due bare, e pensai ai giorni dei pannolini e a tutto quello che veniva prima, gli appuntamenti e il matrimonio, le visite sotto il portico, il primo bacio, una casetta con cui iniziare fino a quando non fossero arrivati dei bambini. Ciò che adesso c’era sui loro visi era orrore.
Temevo di sapere come sarebbe andata a finire. Lui avrebbe cominciato a bere un po’ di più e lei sarebbe invecchiata in fretta. Per la solitudine e il dolore. Ci sarebbe stato un vuoto in lei, che nessuno sarebbe riuscito a riempire. Il sesso alla loro età probabilmente non era molto più che un pensiero. Oppure magari facevano ancora l’amore. Lo speravo. Speravo fosse la loro intimità a poterli tenere uniti, il vecchio corpo nudo e raggrinzito di lui a contatto col vecchio corpo nudo e raggrinzito di lei, corpi che si conoscevano da quarant’anni. Ma se così non fosse stato…se questo non fosse servito a tenerli insieme… se ci fossero state notti in cui lui tornava a casa tardi dal bar… mentre lei lavorava a maglia in soggiorno, in un silenzio assoluto,,, nessun altro obiettivo sarebbe rimasto nelle loro vite. Due delle cose che avevano messo al centro delle loro esistenze ora erano lì. Dai pannolini alla morte. Che probabilmente era avvenuta mentre erano ubriachi.
Mi avvicinai a loro e li abbracciai. Piansi con loro. Non mi conoscevano. Ma piansero lo stesso con me».
Da Larry Brown, a John Fante, a Bukowsky , a Faulkner, a Cormac McCarthy ,a Bob Dylan, a Otis Redding, a Elvis, a Jim Morrison sino a Bruce Springsteen, tutti quanti raccontano storie di persone, di quell’America, che spesso vengono sconfitte ma che continuano a perdere perché è l’unica cosa che sanno fare e che gli riesce meglio, senza mai perdere la tenerezza.
Ringrazio per la traduzione Paola Cioni e Nicola Manuppelli.
I miei complimenti alla casa editrice” Mattioli 1885” per la caratura del suo catalogo e per la qualità delle sue edizioni sotto ogni aspetto, tecnico e stilistico.
Simone Lentini
Novantadue giorni
Autore: Larry Brown
Editore: Mattioli 1885
Isbn: 9788862611602