Due anni di lavoro per arrivare a Migranti. Storie di un fenomeno
Le migrazioni hanno sempre fatto parte della storia dell’umanità, ma in tempo di crisi ce ne si dimentica. Con il volume, della collana, Intelligence, Acta Mundi di Agc Communication, 254 pagine costo 25 euro si è data voce nuovamente al fenomeno.
Un nuovo punto di vista che è emerso dalle diverse voci interpellate dagli autori: Antonio Albanese, Sarah Dongiovanni, Graziella Giangiulio, Renato Loiero, Eric Molle, Ilaria Serpillo. Ad essere ascoltati i protagonisti del viaggio, i migranti e ancora chi si occupa del contrasto al traffico di esseri umani: Guardia di Finanza e Magistratura e ancora voce data a chi si occupa dell’accoglienza i CAS e gli SPRAR, le amministrazioni locali, infine non poteva mancare uno sguardo attento alla spesa in materia e alle normative internazionali che regolamentano il fenomeno
La fotografia che emerge è che un quadro disorganico fatto di tanta buona volontà. A fare la differenza sono gli uomini a ingessare i meccanismi le regole e le procedure spesso obsolete rispetto alle problematiche vissute da chi parte.
Tra le scoperte il dato che l’Italia non è la meta preferita dei migranti ma è una tappa obbligata se questi partono dalla Libia o dalla Tunisia visto che l’Italia è la prima porta per il vecchio mondo. E ancora: non si parte solo in fuga dalla guerra, dalle ingiustizie, dagli abusi di potere ma si parte in cerca di una migliore.
I ragazzi nelle loro storie raccontano le atrocità subire dai trafficanti di uomini, le violenze subite, gli inganni ma tutti hanno detto: noi vogliamo una vita come la vostra: un lavoro, una casa, una famiglia.
Tra le storie più toccanti quella di un giovane camerunese in fuga grazie a delle zie, per colpa di parenti che lo volevano giustiziare per avere la sua terra dopo aver massacrato la sua famiglia: “Io prima di arrivare in Italia non avevo più sogni, ora voglio lavorare, farmi una famiglia, essere felice”. Il suo sogno è stato alimentato dall’accoglienza italiana, in Sicilia da operatori umanitari che gli hanno insegnato la lingua italiana, gli hanno dato una tetto, un posto per giocare a calcio, lo hanno ascoltato.
L’accoglienza italiana è stratificata, lasciata a poche regole e soprattutto alla responsabilità di chi gestisce i centri. Non c’è raccordo tra mondo del lavoro e SPRAR e soprattutto la lentezza con cui si respingono i migranti diventano strazianti per i ragazzi e per gli operatori. A peggiorare le cose l’unico modello per avviare le procedure di accettazione o diniego il C3 che spesso non può tener conto di una realtà che cambia celermente.
I ragazzi che arrivano sull’altra sponda del Mediterraneo spesso hanno provato a cercare una vita migliore in Africa, in Algeria o Libia ma poi non avendola trovata provano il mare. Molti arrivano in Libia in Areo e molti di loro non sono secolarizzati: nel loro paese sono agricoltori, allevatori, macellai. Per quei pochi scolarizzati la via dell’integrazione è ancora più difficile perché è quasi impossibile far riconoscere i titoli di studio.
Dal punto di vista del contrasto la lotta si ferma laddove non ci sono accordi internazionali, dove il magistrato non può adire per mancanza di ascolto da parte del paese da cui partono le barche o per meglio dire i barchini che sbarcano, nel silenzio più completo sotto gli occhi della Gdif che ogni notte scorta i barchini dalle acque nazionali al porto.
Tutte le notti queste storie si ripetono, perché i barchini arrivano sempre, 6, 8, 10 sulle coste delle nostre isole nell’indifferenza della politica nostrana.
Anna Lotti