LIBRI. Le verità nascoste della creazione letteraria 

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Le bugie di Pinocchio sono tutte vere, perché le verità di Pinocchio sono tutte false. 

Mi sono avvalso di questo gioco di parole per introdurre la tematica del libro Non scrivere di me di Livia Manera Sambuy edito da Feltrinelli.

Un testo che incontra gli scrittori per svelare il punto d’incontro tra l’invenzione letteraria e il suo processo creativo dove la verità e la memoria si fondono, dando vita a una menzogna necessaria per raccontare storie possibili in un mondo plausibile. Una dimensione che rigetta l’ordinarietà opaca della superficialità per scavare, con il potere salvifico e distruttivo delle parole, le verità intime e celate di chi ogni giorno fa finta di essere normale.

Livia Manera racconta i suoi incontri con alcuni scrittori e valicando spesso quella linea di confine tra il giornalista e l’intervistato, entra in una sfera più intima dove la comprensione e l’empatia generano possibilità di amicizia e un dialogo aperto.

La scrittrice ci presta i suoi sensi e ci da l’occasione di osservare lo scrittore mentre si confronta.

Pensare di capire e analizzare uno scrittore solo dai suoi scritti equivarrebbe, secondo me, come credere ciecamente alle bugie di Pinocchio.

Per quanto mi riguarda cercare di capire, di conoscere il pensiero di uno scrittore o di una persona, nella sua interezza è una scommessa persa in partenza. Leggere è prima di tutto ascoltare e apprezzare che tra la menzogna ci siano momenti autentici ben nascosti. Leggere allena l’empatia, alimenta le domande e mai ti indica l’unica vera risposta.

Incontriamo Mavis Gallant che nella sua schiettezza ci ricorda che: «La letteratura non è niente di meno e niente di più che una questione di vita o di morte». L’autrice ricorda, citando le parole del libro, il suo “umorismo corrosivo”.

Da un estratto del libro: «Il signor MacFarlane le aveva lasciato sulla scrivania una poesia sconcia, poi un biglietto di scuse, e poi una poesia ancora più sconcia della precedente».

Attraverso la personalità di Judith Thurman scopriamo Karen Blixen. La tecnica biografica obbliga lo scrittore a fare i conti con se stesso e con l’elaborazione tecnica e romantica dei ricordi. 

Come scrive Lidia Manera, ricordando un progetto su J.D. Salinger. «La grazie adolescenziale dei suoi racconti era rimasta intatta come uno scarabeo in un guscio d’ambra. Ma l’uomo che mi guardava dalle migliaia di pagine che avevo davanti era una persona arida che non mi interessava più».

In uno sperduto McDonald’s facciamo la conoscenza, molto parziale, di un inquieto David Foster Wallace e percepiamo la sua vocazione verso la narrativa; il suo tentativo, attraverso di essa, di dare un senso a quell’American life così cara e al contempo disprezzata nei suoi testi.

Figure del calibro di Richard Ford, Paula Fox, Joseph Mitchell, James Purdy e Raymond Carver ci vengono incontro e si lasciano scoprire ma mai compatire. Quello che emerge dalle testimonianze di tutti gli scrittori intervistati è l’idea che, nonostante i momenti bui e difficili, il mestiere, anzi la vocazione dello scrittore oltre ad essere in alcuni casi una maledizione è comunque una scelta di vita che prevede un pensiero e una vita libera.

Le regole ferree della disciplina dello scrivere trasformano un talentuoso pensatore in uno scrittore, ma alla base della scelta si avverte prepotente il desiderio di squarciare l’illusione culturale del moralmente corretto e l’accettazione responsabile delle conseguenze di una scelta del genere.

Nel testo emerge chiaramente il legame empatico che lega l’autrice a Philip Roth. La diffidenza iniziale dello scrittore legato alle catene della sua scrittura sono il pretesto per descrivere il suo processo di liberazione dalla scrittura per tornare ad essere un uomo “normale”. In questo contesto l’autrice ci racconta il suo rapporto con Philip Roth e le fasi di cambiamento che lo hanno reso una persona e non solo uno scrittore. Una liberazione che gli ha permesso di scoprire la bellezza del presente.

Un’amicizia basata sulla reciproca consapevolezza dell’altro, sulla stima e sulla capacità di ascoltare e rispettare i silenzi altrui.

Molto interessante è la porzione di testo nella quale l’autrice paragona lo scrittore o il giornalista a un potenziale Giuda, un traditore.

«Come si racconta una storia personale come quella che sto per raccontare, senza cadere in una delle tante trappole che mi stanno davanti come pozzanghere dopo un temporale? Penso alla questione della fiducia e del tradimento che si pone tra chi scrive e il suo soggetto. Penso alla trasfigurazione che inevitabilmente lo scrivere porta con sé».

«Dopo vent’anni di giornalismo letterario, sapevo che scrivere richiede una misura di tradimento, e che scrittori e giornalisti sono fondamentalmente creature immorali, come ci ha ricordato Janet Malcolm nel suo libro The journalist and the Murderer»

Un libro che cerca, nella sua disarmante schiettezza, l’autenticità in un club di bugiardi. Un testo che valica il confine narrativo delle storie per andare incontro quell’uomo che per noi è, nella sua totalità, solo uno scrittore.

Simone Lentini 

Non scrivere di me. Racconti intimi di scrittori molto amati: Roth, Ford, Wallace, Carver
Livia Manera Sambuy

Editore: Feltrinelli
Collana: Universale economica
Anno edizione: 2018
Formato: Tascabile
Pagine: 206 p., Brossura
EAN: 9788807890499