LIBRI. La Strada

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Incipit:

«Quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. Notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato. Come l’inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo. La sua mano si alzava e si abbassava a ogni prezioso respiro. Si tolse di dosso il telo di plastica, si tirò su avvolto nei vestiti e nelle coperte puzzolenti e guardò verso est in cerca di luce ma non ce n’era. Nel sogno da cui si era svegliato vagava in una caverna con il bambino che lo guidava tenendolo per mano. Il fascio di luce della torcia danzava sulle pareti umide piene di concrezioni calcaree. Come viandanti di una favola inghiottiti e persi nelle viscere di una bestia di granito. Profonde gole di pietra dove l’acqua sgocciolava e mormorava. I minuti della terra scanditi nel silenzio, le sue ore, i giorni, gli anni senza sosta».

Lo spirito del libro e l’intento dell’autore trovano, secondo me, la loro sintesi nell’incipit stesso.

La mano del padre che cerca il suo bambino per proteggerlo, per sentire la vita e percepire quel senso di continuità. Il fetore  di un ambiente marcio e la speranza poetica nella ricerca della luce come guida e salvezza. Il senso di smarrimento «nelle viscere di una bestia di granito».

Un bambino, un padre e un grigio scenario post-apocalittico. La semplicità della storia è la cornice essenziale per esaltare le doti empatiche  e visionarie dello scrittore  Cormac Mc Carthy;

Un’altalena poetica e spietata al contempo, dove le immagini prodotte aspirano al vero in maniera così asciutta e crudele, che solo la purezza del bambino che sopravvive grazie al padre, e vive, proiettandosi in un futuro possibile, riesce a instillare, nel lettore,  un barlume di speranza.

Non conosciamo i nomi dei protagonisti, e i luoghi, fuori da ogni confine conosciuto, sono terre di mezzo dove i presupposti del vivere civile sono ormai dimenticati.

Una lotta tra il bene il male, tra i buoni e i cattivi. Un libro che tende la mano alla morte e alla pazzia ma che si aggrappa tenacemente al ricordo dell’essere umani  per rimanere  umani.

«Papà stiamo per morire?» la domanda ricorrente che il bambino fa al padre durante tutto il romanzo.

Perché il padre «provava invidia per i morti»;

Perché «Quando ce ne saremo andati tutti qui resterà solo la morte, e anche lei avrà i giorni contati. Vagherà per la strada senza niente da fare e nessuno a cui farlo. Dirà: Dove sono finiti tutti? Ecco come andrà».

Perché «il bambino era l’unica cosa che lo separava dalla morte».

Perché il bambino è la prova che in un contesto così estremo è ancora possibile amare e provare compassione per il prossimo.

Scopi primari di sopravvivenza;  l’essenziale si fa cibo, scarso, si fa acqua, spesso non potabile e così un vecchio e claudicante carrello della spesa, un pentolino e qualche coperta bucata ridisegnano il senso di proprietà e di ricchezza.

Dialoghi asciutti e lapidari tra padre e figlio sono scudi contro i mostri mascherati da uomini.

Il cannibalismo torna antropologicamente tra gli ominidi e la disperazione traccia i nuovi confini della moralità.

È in questo contesto che assistiamo al tentativo paterno di restituire al proprio figlio quel lontano senso della vita basato su antichi valori che quel nuovo mondo vuole cancellare.

Un padre e un figlio, l’uomo e l’ambiente, l’uomo e la morte, l’uomo e la vita con la fame dell’istinto primordiale di sopravvivenza; un libro dove i legami, nelle sue molteplici e invisibili sfere, proiettano il lettore in un mondo interiore dove il conflitto è, esso stesso, il motore della nostra natura e non il risolutore finale dei nostri dolori.

Leggiamo di un presente catastrofico senza conoscerne le cause, e non ne sentiamo la mancanza.

Il genio di McCarthy è quello di creare una realtà talmente viva che il lettore esperisce quel presente in maniera totale, e così, come i protagonisti, è impegnato a sopravvivere.

Un libro privo di retorica che ci consegna l’uomo nudo di fronte alle proprie paure, dove l’istinto preserva la vita biologica e l’amore, in qualsiasi delle sue forme, diventa l’unica guida possibile.

I miei ringraziamenti vanno alla traduttrice Martina Testa; se sceglierete di leggere questo capolavoro capirete il perché.

Simone Lentini

“La strada”, premio Pulitzer 2007.

La strada

Cormac McCarthy

Traduttore: M. Testa

Editore: Einaudi

Collana: Supet ET

Edizione: 1

Anno edizione: 2014

Formato: Tascabile

Pagine: 220 pp.

EAN: 9788806219369