I giochi della notte di Stig Dagerman è una raccolta di otto racconti. Il titolo prende spunto, nella versione italiana, dal primo racconto (I giochi della notte, appunto). L’originalità della prosa e la capacità dell’autore di vestire i panni del protagonista che subisce l’azione, sono aspetti peculiari e distintivi di ogni storia.
I periodi molto brevi, ma esaustivi, trasmettono un ritmo incalzante alle vicende. Con atavica curiosità il lettore insegue visceralmente la verità grottesca e priva di consolazione dell’esistere.
Nel primo racconto conosciamo Ake, un bambino che la notte immagina e spera di diventare invisibile per fuggire da una realtà che non accetta. L’ambientazione onirica e tremendamente reale al contempo fanno rimbalzare il lettore tra la speranza di qualcosa che dovrebbe accadere e la delusione di quello che effettivamente si è costretti a vivere.
Ake fa i conti con una vita sin troppo adulta e severa, dove un padre perennemente ubriaco e una madre che non lo ascolta fanno crescere in lui un senso di rabbia che implode e che erode velocemente quell’ipotetica innocenza fanciullesca.
«I giochi della notte sono più belli di quelli del giorno perché di notte si può essere invisibiliı».
Anche nel racconto “Nevischio” incontriamo un bambino, Arne Berg, già orfano di padre si ritrova a fare i conti anche con la perdita della nonna. In un ambientazione rurale, il nonno, la madre e lo zio attendono l’arrivo di una misteriosa zia, sorella del nonno, proveniente dall’America. Tutto il racconto è incentrato sulla possibilità che un’attesa del genere possa cambiare, una situazione stagnante dove tutto è sordo. Le ore che precedono il commovente arrivo della zia si caricano di un occulta energia ricca di pathos, dove la preparazione all’evento sembra essere un rito per esorcizzare l’inevitabile fenomenizzazione dell’invisibile.
Il racconto “Sconosciuto” sembra essere, per costruzione e per ritmo, un thriller psicologico, dove l’ansia del ricordare crea vuoti di memoria, cancellando in un attimo quella certezza di vita vissuta che si aggrappa ai ricordi per urlare il proprio tempo.
I frammenti di una vita non vissuta, perché non ricordata, sembrano essere i frantumi di un rapporto ormai leso.
Il protagonista non riconosce in foto né i luoghi, né il periodo che testimoniano il suo passaggio; negli occhi della moglie, il marito naufraga senza identità. Il presente sfugge, tutto di decontestualizza e lui si ritrova ad essere un estraneo che abita un corpo, forse il proprio.
Ho divorato le pagine di questo racconto con irrefrenabile impazienza, nella speranza di scoprire i secondi successivi di ogni attimo. Il finale mi ha spiazzato e sorpreso.
Uno squarcio riflessivo ti obbliga a chiudere un attimo il libro per rivedere ed esperire mentalmente la possibilità letteraria appena vissuta.
«Apre gli occhi e incrocia lo sguardo della moglie dall’altra parte del tavolo. La sua cattiva coscienza gli fa vedere in quello sguardo una sfumatura curiosità e di attesa.
– No – , finisce per dire abbassando gli occhi, – putroppo no.-
Per un po’ la stanza è immersa nel silenzio. Solo la porta dell’autorimessa cigola leggermente, forse vi è balzato attraverso un gatto. Alcuni ragazzi che passano in bicicletta lanciano chiassose maledizioni all’indirizzo di non si sa cosa.
La moglie tamburella con l’indice sul piano del tavolo. In genere sono solo gli uomini che tamburellano così».
I racconti di Stig Dagerman non cercano una morale risolutiva che spieghi i corrotti compromessi del vivere. Al contrario l’autore esplora la solitudine degli ultimi raccontando l’ingiustizia del vivere.
La frattura tra l’uomo e il proprio ambiente crea un bisogno di verità che mai viene soddisfatto e tantomeno riesce ad essere consolatorio.
Per la qualità della scrittura e l’originalità creativa avrei preferito che i racconti, anziché essere tali, potessero essere l’incipit di qualcosa di più corposo.
Stig Dagerman, nato nel 1923 ad Alvkarleby, in Svezia, è morto suicida a soli trentun anni nel 1954.
Ringrazio per la traduzione dallo svedese Carmen Giorgetti Cima.
In apertura, l’immagine è tratta dal cortometraggio del 2008 The Games of Night di Dan Levy Dagerman, tratto appunto dal racconto Natten’s Lekar di Stig Dagerman.
Simone Lentini
I giochi della notte
Stig Dagerman
Traduttore: C. Giorgetti Cima
Editore: Iperborea
Edizione: 2
Anno edizione: 1996
Pagine: 162 p., Brossura