LIBRI. Chi ha ucciso Nicolò Duodo? Un giallo nella Venezia del Seicento

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Come mi sono immaginato Francesco Barbarigo mentre leggevo via le sue gesta?

Non so perché, ma fin dall’inizio per me aveva le fattezze del classico dei cavalieri iberici: Don Quixote de la Mancha, di Miguel Cervantes, con il viso di Nikolaj Cherkesov (fu il mitico cavaliere iberico in un film sovietico del 1957). E non chiedetemi perché, questa è stata l’immagine che è scaturita da come veniva presentato e da come si comportava nelle sue gesta veneziane.

A fianco non c’è Sancho Panza ma il capitano Domenico Stella, simile per certi versi al Diego Alatriste di Arturo Perez Reverte, e con la faccia di Viggo Mortensen.

Una bella accoppiata, non c’è che dire. Ebbene questi due personaggi devono rispondere ad una domanda ben precisa: chi ha ucciso Nicolò Duodo? Il patrizio veneziano, in bolletta, ucciso misteriosamente e apparentemente senza motivo, coperto come era di debiti da pagare.

Sullo sfondo, per chi non la conoscesse, c’è Venezia, agli inizii del XVII secolo. Una città coinvolgente, affascinante e misteriosa, abilmente raccontata da Gustavo Vitali nel suo libro Il Signore di Notte, che la fa da padrona. Vitali guida noi lettori per mano nella storia della città, all’invio del suo declino, potremmo dire, in bilico sempre più fra oriente e occidente; città licenziosa e ingabbiata spesso in rigidi protocolli amministrativi che comunque l’hanno salvata dai nemici, fino all’epoca napoleonica, successiva agli eventi che Vitali ci racconta.

Chi è Barbarigo e perché indaga? Perché è il suo lavoro: è un magistrato, un Signore di Notte al Criminal, anche se un po’ sui generis e bislacco, ma comunque efficace. Accanto ha il capitano delle guardie, un commissario di polizia ante litteram, calmo e riflessivo, quanto il primo è irruento e rodomentesco. Il caso è complicato, intricato e sopratutto imbarazzante per l’epoca. I due protagonisti quindi tra colpi di pistola, sciabole e mantelli vi affascineranno fino all’incredibile e imprevedibile epilogo.

Antonio Albanese