LIBRI – A sangue freddo di Truman Capote

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di Simone Lentini ITALIA – Roma 15/01/2017. La Domenica del 15 Novembre del 1959, ad Holcomb, una piccola cittadina del Kansas , la famiglia Clutter, padre, madre e due figli adolescenti (Nancy e Kenyon), viene trovata massacrata. Per l’esattezza, prima di essere freddati con un colpo alla testa, vengono legati ed imbavagliati; eccezion fatta per la sedicenne Nancy che era sì legata ma non imbavagliata.
La polizia per l’efferato delitto arresta due uomini, Perry Edward Smith e Richard Eugene Hickock (Dick), usciti da poco dal carcere in libertà vigilata.
Confondere la trama del libro con il contenuto della storia sarebbe, in questo caso, un grande errore di valutazione.
Truman Capote dopo aver letto dell’accaduto in un trafiletto di cronaca nera sul New York Times decide di recarsi sul luogo per scrivere sul crimine. A titolo informativo, sarà aiutato dalla sua grande amica d’infanzia, e scrittrice, Harper Lee (Il buio oltre la siepe – 1960). Sarà un lavoro che lo impegnerà sei anni, durante i quali si spingerà a intrattenere uno stretto rapporto con gli imputati fino al momento dell’esecuzione (impiccagione).
I conflitti morali ed emotivi che l’opera suscita si servono dell’efferato fatto di cronaca per consegnarci un’America dicotomica dove l’amore per la famiglia, il rispetto per il prossimo e l’idea nobile del lavoro, convivono e si mescolano al tempo stesso con l’altra faccia dell’America dove la solitudine, l’abbandono, la miseria, la follia cieca e la cattiveria ragionata deviano il percorso dell’uomo che, tra gli ultimi, cova rabbiosamente e inconsapevolmente quell’odio che nasce dalla mancanza di amore.
A sangue freddo considerato da molti il “romanzo-reportage” o “romanzo-verità” per eccellenza viene spesso preso in considerazione quando si vuole affermare il valore preminente dell’imparzialità della cronaca e dell’oggettività dei fatti.
Per quanto mi riguarda penso che una valutazione del genere necessiti di una revisione; il libro, secondo il mio parere è l’altissima espressione di una soggettiva oggettività. Il mio non è solo un gioco di parole; Se da una parte è vero che Truman Capote riesce, attraverso descrizioni precise, a farci vivere e respirare quel mondo, creando una realtà che sembri vera e tangibile, dall’altra parte non bisogna dimenticare che colui che scrive è colui che sceglie cosa osservare e in che modo usare le parole. Esiste quindi, in questo caso, il rispetto della cronaca dei fatti realmente accaduti nella storia abilmente narrata.
Citando Bernard: «Essere obiettivi non vuol dire essere esenti da ogni pregiudizio, ma divenire consapevoli dei propri pregiudizi cercando allo stesso tempo di trascenderli».
Ad ogni modo durante la lettura del “reportage” non si ha mai l’idea che l’autore voglia imporre un giudizio di condanna o un’assoluzione; il resoconto dettagliato e rigoroso dei fatti porta alla luce una moltitudine di informazioni ponendo i presupposti per una partecipazione empatica ed emotiva del lettore che nella formulazione personale del giudizio si troverà spesso a fare i conti con l’ipotesi del dubbio etico e morale, dove spesso la  verità è tutt’altro che un criterio di misura assoluto della realtà.
La scelta lessicale che l’autore ci propone e la tecnica con la quale ci immerge nel contesto sociale e intimo dei personaggi sono elementi imprescindibili che elevano l’opera da semplice racconto di cronaca a capolavoro.
Con assoluta certezza posso affermare che io quella domenica di Novembre del 1959 mi trovavo in quella casa, conoscevo la famiglia Clutter, conoscevo gli abitanti di Holcomb e conoscevo i due assassini; io c’ero!
Come il “rasoio di Occam” , ogni parola occupa, semplicemente ed essenzialmente, il suo posto necessario.
Nell’estratto che vi propongo per rendere al meglio il mio ultimo concetto, l’autore introduce uno dei due assassini, Perry: «Ogni punto di vista dal quale lo si osservava dava un’impressione diversa. Era un volto mutevole e gli esperimenti guidati dallo specchio gli avevano insegnato a controllarne le espressioni, a sembrare ora inquietante, ora malizioso, ora sentimentale; un leggero movimento del capo, una contrazione delle labbra, e lo zingaro corrotto si trasformava nel nobiluomo romantico. Sua madre era una Cherokee purosangue, e da lei aveva ereditato i colori: la pelle color iodio, i liquidi occhi scuri, i capelli neri che teneva imbrillantinati, abbastanza folti da permettergli lunghe basette e una frangetta untuosa. I doni di sua madre erano evidenti; meno lo erano quelli del padre, un irlandese lentigginoso, dai capelli sale e pepe. Pareva che il sangue indiano avesse cancellato ogni traccia della stirpe celtica. Tuttavia le labbra rosee e il naso all’insù ne confermavano la presenza, insieme a una specie di malizia, di arrogante egocentrismo irlandese che spesso animavano la maschera cherokee e ne prendevano l’assoluto controllo quando egli suonava la chitarra e cantava».
Lo spazio narrativo che l’autore concederà a Perry permetterà di raccontare la vita dell’assassino e la vita di un uomo che si è trasformato in un assassino. Mentre leggevo ho sempre condannato l’assassino e ho sperato di salvare l’uomo che c’era dentro. Mentre leggevo mi sono chiesto cosa condiziona l’uomo durante la sua trasformazione. Mentre leggevo sapevo che Perry non era cattivo ed era un assassino. Quando ho terminato la lettura ho ringraziato Truman Capote per il suo genio e ho applaudito il traduttore (M. Dèttore) per la sua professionalità.
Sempre a titolo informativo, il vero nome di Truman Capote è Truman Streckfus Person (New Orleans, 30 Novembre 1924 – Bel Air 25 Agosto 1984); ma questa è un’altra storia… Vera.

A sangue freddo
Truman Capote
Traduttore: M. Dèttore
Editore: Garzanti Libri
Collana: Nuova biblioteca Garzanti
Anno edizione: 2005
Pagine: 391 p., Rilegato
• EAN: 9788811683117