
Dall’attacco da parte dei combattenti di Hamas e del gruppo del Jihad islamico da Gaza il 07 ottobre e la conseguente risposta israeliana, molti eventi e fatti sono successi, con i paesi arabi che si sono compattati intorno ai palestinesi per dargli sostegno e fornirgli aiuti visto i costanti e massicci bombardamenti e l’operazione via terra da parte delle forze militari di Israele all’interno della Striscia.
Ovviamente, anche la Libia si è espressa ed ha reagito a quanto accaduto, con una netta presa di posizione contro il governo di Tel Aviv, seppur inizialmente non uniformemente e con la medesima intensità da parte di tutti i principali attori ed istituzioni nel Paese. Drastica invece la legge approvata sulla criminalizzazione dei rapporti di normalizzazione con l’“entità sionista”.
La Libia non è fra i paesi degli accordi di Abramo con cui Israele ha normalizzato i rapporti nel 2020 quali il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti ed in seguito Marocco e Sudan, segnando la prima normalizzazione delle relazioni tra un paese arabo e Israele da quella dell’Egitto nel 1979 e della Giordania nel 1994. Però nell’ultimo anno uno scandalo ha suscitato molto clamore proprio in Libia, sulla vicenda emersa e resa pubblica prima del previsto, sul primo storico incontro fra l’allora ministro degli Esteri, Najla al Manqush, del governo di unità nazionale, GNU, riconosciuto dalla comunità internazionale, e il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, avvenuto proprio a Roma sul finire di agosto, comunque mediato e con un contributo fondamentale degli Stati Uniti. La speranza di Dabaiba, infatti, era di ottenere un sostegno più forte dagli americani e da altri Paesi al suo governo, temendo che il sostegno internazionale al governo si indebolisse e scomparisse.
Una volta venuti a conoscenza del colloquio, si sono scatenate le reazioni da parte di moltissime istituzioni libiche e manifestazioni popolari, proteste e sommosse contro il processo che si stava portando avanti, mentre è stato espresso subito sostegno e solidarietà alla Palestina. Il governo è dovuto correre ai ripari, con il premier Dabaiba che in un primo momento ha smentito poi ha affermato che lui non ne era stato informato, e in seguito facendo dimettere la Manqush – anch’essa inizialmente sosteneva di essere stato un incontro casuale – ma praticamente proteggendola e mandandola all’estero, almeno inizialmente in Turchia, grazie al ruolo svolto dalle forze turche e permettendole di stare anche nelle sue proprietà londinesi o in Qatar. Allo stesso tempo, con un velo di ipocrisia, per mostrare la sua innocenza Dabaiba ha fatto visita all’ambasciata dell’Autorità Palestinese a Tripoli considerando i palestinesi in Libia come cittadini e trattandoli come libici, ed evidenziando le profondità delle relazioni libico-palestinesi.
Tanto questa vicenda ha suscitato clamore e indignazione che già inizialmente che si era rispolvera la Legge sul boicottaggio di Israele numero 62 del 1957, risalente all’epoca del Regno di al Senussi, che delinea una serie di limitazioni nel rapporto con Israele. Anche alcuni parlamentari avevano avvertito nell’immediato che il Parlamento avrebbe emanato un progetto di legge che criminalizza la normalizzazione con l’”entità sionista”. Inoltre era stato aperto anche un procedimento giudiziario con delle indagine sul fatidico incontro, e la Manqush è stata anche convocata ma senza successo, considerando che non è ancora tornato in Libia dopo i noti fatti.
Lo scoppio del conflitto a Gaza ha avuto ovviamente degli effetti, e delle ricadute anche in Libia. Nell’immediato, infatti, fonti locali hanno sostenuto che Dabaiba avesse informato gli americani dei suoi timori circa l’impatto di quanto accadeva a Gaza sul governo. Si noti che il premier cerca di migliorare la sua immagine dopo lo scandalo delle fughe di notizie della riunione di normalizzazione, facendo pressioni sulla Corte Suprema a Tripoli affinché rilasci i prigionieri della cellula di Hamas detenuti, accusati di spionaggio, cospirazione contro la sicurezza dello stato, formazione di un’organizzazione straniera segreta e atti di terrorismo. Anche alle Nazioni Unite, la posizione libica sulla prima proposta di risoluzione sul cessate il fuoco è stata ambigua, cui vede la Libia a parole e a gesti condannare ma di fatto no. Nonostante Tahir al Sunni, il Rappresentante libico in seno all’ONU, si sia presentato con indosso la kefiah palestinese e abbia condannato verbalmente la guerra a Gaza la Libia è assente dall’elenco degli Stati membri delle Nazioni Unite che hanno sostenuto tale progetto, a detta sua poiché hanno avuto riserve in quanto non accettavano che la resistenza venisse equiparata alle forze di “occupazione”.
La volontà di emanare una legge che criminalizzi la normalizzazione con Israele è tornata in auge prepotentemente visto il contesto, anche i partiti politici la sollecitavano. E alla fine il Parlamento l’ha fatta con un voto all’unanimità per approvarla. Questa decisione fa parte di una nuova legge che modifica la legge n. 62 del 1957, e affermano che ciò rappresenta la ferma posizione della Libia nel sostenere la causa palestinese soprattutto alla luce dell’aggressione israeliana. La stessa Camera dei Rappresentanti aveva in precedenza emanato una dichiarazione sull’espulsione degli ambasciatori dei paesi che sostengono Israele (in particolare Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia), oltre a fermare le esportazioni di petrolio. A fargli eco, a stretto giro anche il Consiglio di Stato, a chiedere che gli ambasciatori di alcuni paesi occidentali lascino la Libia. Proprio su quest’onda, durante una manifestazione pro-palestinesi, i manifestanti nella capitale libica Tripoli hanno rivolto la loro rabbia contro l’ambasciata italiana, un paese che associano al colonialismo e al sostegno europeo a Israele. Un gruppo ha preso d’assalto l’ambasciata manifestando davanti l’entrata e ha issato la bandiera della Palestina sul suo edificio -sul filo spinato del muro esterno.
A completare il quadro, da ultimo, la Fatwa House nella regione occidentale ha emesso una fatwa affermando che non è consentito cooperare con tutte le entità, paesi e persino aziende che sostengono l’occupazione israeliana. Effetti si sono visti subito, con il blocco e respingimento di due navi petroliere provenienti da o dirette in proprio nel Paese. Sorprendenti, infine, le dichiarazioni e i dati forniti dalla Mezzaluna Rossa egiziana che rivela l’entità degli aiuti ricevuti a beneficio di Gaza poiché la Libia si è classificata al primo posto dopo il governo egiziano con 546 tonnellate attraverso più di 100 camion rimorchiati e frigoriferi la maggior parte delle quali fornite dal Comando Generale delle Forze Armate, le LAAF guidate dal generale Khalifa Haftar.
Paolo Romano