
Il 6 dicembre 2023 il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha invocato l’articolo 99 della Carta dell’ONU, contenuto nel Capitolo XV, secondo il quale il Segretario Generale delle Nazioni Unite può portare all’attenzione del Consiglio di Sicurezza qualsiasi questione che a suo parere possa minacciare il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Tale decisione è scaturita dalla necessità percepita di imporre un immediato cessate il fuoco umanitario nella Striscia di Gaza in quanto esiste il rischio elevato di un collasso totale del sistema di sostegno umanitario a Gaza, che avrebbe conseguenze devastanti.
L’8 dicembre, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per discutere della situazione attuale nella Striscia di Gaza e per votare una risoluzione, presentata dagli Emirati Arabi Uniti e sostenuta da oltre 90 Stati membri, con la quale si chiedeva un immediato cessate il fuoco umanitario. Tuttavia, all’approvazione di tale risoluzione si è opposto l’ambasciatore degli Stati Uniti d’America presso le Nazioni Unite, il quale ha utilizzato il suo diritto di veto. Gli Stati Uniti d’America hanno giustificato questa decisione affermando di non sostenere le richieste di un cessate il fuoco immediato, in quanto Hamas non ha alcun desiderio di vedere una pace duratura sostenuta dalla soluzione dei due Stati.
A questa situazione il governo di Netanyahu ha reagito affermando che continuerà il conflitto, con o senza il supporto internazionale, fino a quando Israele non raggiungerà una vittoria totale su Hamas. Da parte sua l’Iran ha sostenuto che le decisioni degli Stati Uniti d’America in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che confermano il continuo sostegno della Casa Bianca alle azioni di Israele, aumentano il rischio di un’escalation in un momento in cui il Libano, la Siria, l’Iraq e lo Yemen stanno diventando parti sempre più attive all’interno di questo conflitto.
Sebbene sia ancora presto per comprendere l’intera portata delle conseguenze che l’utilizzo del veto da parte degli Stati Uniti d’America avrà sulla regione, sembra che, per quanto riguarda la risoluzione delle tensioni nelle aree di confine tra il Libano e Israele, si stia ancora dando preferenza ai canali diplomatici.
In questo senso, questa settimana, Binyamin Gantz, membro della Knesset ed ex ministro della Difesa, ha fatto sapere al Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, Antony Blinken, che Israele vuole cambiare la realtà attuale al confine con il Libano, tramite la creazione di una zona cuscinetto delimitata dalla Linea Blu a sud e dal fiume Litani a nord. Le condizioni poste da Israele prevedono il ritiro delle milizie di Hezbollah a nord del fiume Litani e l’affidamento della gestione della sicurezza a forze internazionali. Analizzando la situazione emergono tuttavia una serie di problematiche che sembrano minare alla base qualsiasi possibilità di accordo.
La prima serie di problemi sembra scaturire dall’intransigenza di Israele. Infatti, la preoccupazione di Tel Aviv nel garantire la sicurezza delle aree contese con il Libano, in modo da garantire il ritorno dei propri cittadini sfollati dall’inizio delle ostilità con Hezbollah, rende la clausola del ritiro delle milizie del partito sciita libanese non discutibile. L’importanza di questa condizione risulta evidente dalle dichiarazioni rilasciate questa settimana dal ministro della Difesa israeliano Yoav Galant; il quale ha affermato che in caso di un mancato accordo diplomatico Israele non esiterà ad usare la forza per garantire la sicurezza delle proprie colonie. Tramite queste dichiarazioni sembra evidente che Israele non darà spazio a discussioni su altre proposte che non prevedano un ritiro di Hezbollah dalla zona cuscinetto.
In secondo luogo, nonostante le difficoltà che si incontrerebbero nel convincere Hezbollah a ritirarsi a nord del Litani, il vero problema sembra essere causato dalla politica interna del Libano. Infatti, il vuoto istituzionale che sta attraversando il Paese mina alla base qualsiasi possibilità di intraprendere le vie diplomatiche per la risoluzione delle tensioni in atto. In particolare, in assenza di un Presidente e in presenza di un governo ad interim, non è chiaro a nessuna delle parti quale soggetto sia istituzionalmente legittimato a discutere un eventuale accordo.
Questo problema sembra essere estremamente chiaro agli attori occidentali presenti nell’area. Infatti, gli Stati Uniti d’America e la Francia hanno iniziato da qualche settimana ad inviare propri rappresentanti a Beirut per intavolare una serie di consultazioni con i principali attori politici libanesi con l’obiettivo di sciogliere gli ostacoli presenti nel dossier presidenziale.
Se non risulta ancora possibile comprendere la portata sull’intera regione della decisione degli Stati Uniti d’America di apporre il proprio veto sulla risoluzione presentata venerdì scorso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, risulta invece evidente che il primo necessario passo per avviare un processo di stabilizzazione delle aree di confine tra Israele e il Libano spetti a Beirut. Infatti, solo tramite la nomina di un Presidente della Repubblica è possibile riempire quel vuoto istituzionale che al momento rende impossibile qualsiasi passo concreto verso la risoluzione di una situazione in bilico tra la guerra e la pace.
Pietro Zucchelli









