LIBANO. Banche chiuse a oltranza. Il paese è pronto a esplodere

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Le banche libanesi sono state chiuse per parecchi giorni, visti i timori di un assalto agli sportelli, con il paese che rimane paralizzato dalle proteste a livello nazionale. La crisi si è costruita da mesi, mentre la fiducia nella valuta locale e nel sistema finanziario si è esaurita.

Il rating del Libano è stato declassato a spazzatura in agosto, con l’agenzia di rating globale Fisk che ha aumentato la possibilità che Beirut possa essere inadempiente. Anche l’ancoraggio della sterlina libanese al dollaro, mantenuto come sacrosanto garante della stabilità bancaria per quasi due decenni, è ora più che mai in discussione – con l’emergere dei tassi del mercato nero e le banche che impongono limiti giornalieri ai prelievi di dollari.

Le banche devono riaprire “una volta ripristinata la normalità”, ha detto l’Associazione delle banche del Libano giorni fa, non offrendo una data. Ha poi fatto sapere che i bancomat erano stati riforniti per permettere alla gente di accedere ai propri conti, riporta Asia Times

“Questi sono i nostri soldi”, recitano i graffiti spruzzati su un bancomat sigillato nel centro di Beirut.

Tuttavia, la normalità attesa dal settore bancario rimane sfuggente, poiché una serie di discorsi del ministro degli Esteri, del primo Ministro e del Presidente, oltre a un elenco di riforme d’emergenza, non sono riusciti a frenare il movimento di protesta. Anche il leader degli Hezbollah Hassan Nasrallah, è rimasto inascoltato: affiancato dalla sola bandiera libanese, aveva dato un indirizzo televisivo implorando i manifestanti di aprire le strade: «Un vuoto, alla luce dell’attuale situazione economica ….. porterà al caos e al collasso», aveva detto.

Un tentativo dell’esercito libanese di riaprire le principali autostrade e gli incroci intorno alla capitale è stato respinto dai manifestanti all’inizio di questa settimana, con le donne che in alcuni casi formano uno scudo tra la folla e i soldati, e gli automobilisti che rispondendo ad un appello per i rinforzi hanno bloccato le strade con le loro auto.

Con almeno un milione di persone – circa un quarto del paese – a livello nazionale, sembra che molti libanesi abbiano raggiunto un consenso su come mettere da parte l’ansia economica immediata per tentare di forzare una profonda revisione di quello che considerano un sistema corrotto.

Le élite del paese sono un pugno di famiglie, la maggior parte delle quali ex comandanti delle milizie o discendenti di capi milizia della guerra civile del paese dal 1975 agli inizi degli anni ’90, hanno gestito collettivamente il paese grazie un sistema di quote legate ai gruppi per più di due decenni.

Una delle principali grida di mobilitazione dell’attuale movimento di protesta è: “Via Tutti significa via tutti loro”, circoscrizioni elettorali in tutto il paese si sono ribellate non solo contro i movimenti politici rivali, ma anche contro i loro stessi leader.  Le stazioni radio locali e le televisioni dalla scorsa settimana hanno trasmesso una protesta dopo l’altra, dalla città a maggioranza sunnita di Tripoli nel nord, al bastione del partito sciita Amal di Nabatiyyeh nel sud, lambendo l’intero establishment politico per aver approfittato delle casse del paese e costringendo le generazioni successive a lasciare il paese per assicurarsi una vita decente all’estero.

La goccia che ha scatenato le manifestazioni di giovedì scorso è stata una tassa da riscuotere sul servizio di messaggeria gratuita Whatsapp, il piano telefonico predefinito della nazione, da cui i libanesi dipendono per comunicare con i familiari e gli amici della diaspora, che supera di tre volte la popolazione locale. Le élite politiche libanesi controllano vaste porzioni di capitale nelle banche, i cui depositi sono per il 50% di proprietà dell’1% del paese.

 Graziella Giangiulio