L’autarchia iraniana vince i cuori e le menti

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IRAN – Teheran. Unità della milizia Basij (Nirouy-e moqavemat-e basij ovvero Forza di resistenza di mobilitazione) la milizia paramilitare istituita da Khomeini dopo la rivoluzione del 1979 per combattere in prima linea contro le forze baathiste irachene, sono state spedite nell’Iran occidentale agli inizi di marzo, armati di 100mili pulcini. Assieme ai pulcini, i Basiji portano con loro prestiti a basso costo per i cittadini del Khuzestan che vogliano creare vivai e allevamenti ittici.

I Basij, solitamente, fornisce i muscoli per il lavoro “sporco” mentre le Guardie della Rivoluzione iraniana pensano all’indottrinamento religioso. Le sanzioni internazionali all’Iran hanno avuto come conseguenza che la milizia è ora responsabile della costruzione di un'”economia di resistenza”, che includa la produzione e promozione di generi alimentari locali per ridurre la dipendenza dalle importazioni.

Il capo dei o Basiji, Mohammad Reza Naqdi, ha annunciato a febbraio 2013 che il 30 per cento del fabbisogno dell’Iran di pollame potrebbe essere soddisfatto dall’allevamento di polli nelle case degli iraniani. Naqdi, poi, sostiene le sanzioni sono «una benedizione per l’Iran». «Se occupassi una posizione nei negoziati, non vorrei mai chiedere la revoca delle sanzioni, anzi chiederei il loro permanere come condizione di base nei negoziati sul nucleare», ha poi detto nel dicembre 2012, «Vorrei dire al nostro nemico di imporre il maggior numero possibile di sanzioni, perché siamo in grado di realizzare le nostre potenzialità nascoste in simili circostanze».

Le sue uscite sono state le eco di commenti simili fatti da Mohsen Rezaei, capo della Guardia Rivoluzione, al Financial Times nel settembre 2012. Nell’agosto 2012, l’ayatollah Ali Khamenei, il supremo leader iraniano, aveva sottolineato i valori di un’economia di resistenza, delineata da 12 principi chiave, tra i quali spiccano il sostegno della produzione interna, la riduzione degli sprechi e lo stimolo della domanda di consumo di prodotti iraniani.

In risposta al discorso di Khamenei, Naqdi aggiunse alcuni dettagli: «Non bere caffè importato. Bere tè o sorbetto di ciliegio», come compare nel sito web Basij. «Se [gli occidentali] metteranno guardie lungo ogni confine iraniano in modo che nulla entri o esca dal paese, avremo ancora l’acqua e la terra da coltivare per nutrire il nostro popolo». Oltre al contenimento delle importazioni, altro obiettivo chiave dell’economia resistenza iraniana è la riorganizzazione dell’industria petrolchimica della Repubblica islamica per raffinare il petrolio nel paese e ridurne la dipendenza estera, per fornire valuta utile a importare prodotti alimentari e medicine.

Secondo il presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad (vedi Per chi voterà Khamenei?), nel 2006, l’Iran importava 30 milioni di litri di petrolio al giorno, ma oggi non è più così, la produzione sopperisce alla domanda interna.

Il lato negativo per gli iraniani, è un aumento dell’inquinamento a causa della mancanza di petrolio “ben raffinato”. A gennaio 2013, uffici pubblici, scuole, università e banche a Teheran sono stati costretti a chiudere per cinque giorni a causa dello smog. La radio locale ha avvisato i cittadini che uscire di casa sarebbe stato un «suicidio».

Ali Mohammad Sha’eri, vice direttore dell’Organizzazione della Protezione Ambientale, ha negato che sia stato il “combustibile di emergenza” la causa dell’inquinamento, ma ha ammesso che solo il 20% del combustibile in circolazione è all’altezza degli standard moderni.

Come per la Corea del Nord, l’Iran ora lancia l’idea che le sanzioni lo renderanno più forte. Sotto pressione internazionale, privo di un piano coerente per ridurre la sua dipendenza dalle rendite petrolifere e con importazioni limitate, il governo iraniano è costretto a far ingoiare alla pubblica opinione questsa versione dei fatti. La verità vera è una sola: le sanzioni stanno lavorando bene per strangolare l’economia del Paese, ma si tratta di verità politicamente sgradevole.

C’è sì un’economia di resistenza in Iran, ma non è correlata all’agricoltura urbana o al consumo di caffè “made in Iran; l’economia reale ruota attorno al giro “illegale” di società che dalla Malesia al Sudafrica garantiscono che gli importatori siano in grado di aggirare le sanzioni bancarie e pagare i loro fornitori. 

Le imprese iraniane, senza patrocinio da parte dello Stato, stanno pagando costosi intermediari in Turchia e nel Golfo per far circolare contante dentro e fuori il paese, mentre gli intermediari petroliferi convincono raffinerie estere a chiudere un occhio sui documenti di spedizione e a vendere a prezzi scontati. Questi sforzi non riescono, però, ad attutire le ripercussioni dell’isolamento economico creato dalle sanzioni.