Questa settimana il ministro degli Interni kosovaro Xhelal Sveçla ha annunciato la firma di un terzo accordo di cooperazione con EUROPOL per la definizione delle procedure di scambio e di protezione delle informazioni. La Direttrice dell’agenzia europea Catherine de Bolle ha ringraziato il governo di Pristina per la disponibilità a collaborare nella lotta alla corruzione e alla criminalità, mentre Sveçla ha sottolineato l’importanza degli accordi firmati con EUROPOL per il consolidamento delle istituzioni statali in Kosovo e per la garanzia dello stato di diritto nel Paese.
Il primo accordo tra il governo di Pristina e l’Ufficio europeo di polizia è stato firmato soltanto nel 2020: prima di allora, il Kosovo era l’unico Paese dei Balcani occidentali non appartenente all’Unione europea a non aver siglato nessun accordo con EUROPOL. Oltre che per Pristina, questo rappresentava un problema anche per i partner europei, soprattutto per quanto riguarda la lotta al terrorismo jihadista.
Secondo un rapporto dell’Antiterrorismo francese del 2021 citato nel corso di un’interrogazione parlamentare a Bruxelles, sarebbe infatti alto il rischio che delle cellule di Daesh provenienti da Siria e Iraq possano instaurarsi nei paesi di area balcanica. Tra gli altri paesi della regione, il Kosovo offre alti rischi vista la fragilità delle istituzioni interne e la forte presenza in passato di nuclei terroristici.
La questione riguarda direttamente anche l’Italia: lo scorso novembre, la Polizia italiana ha annunciato l’arresto di una ragazza di diciannove anni nel corso di un’operazione svolta a Milano in collaborazione con EUROPOL. Stando a quanto rivelato nell’annuncio, il marito della ragazza sarebbe direttamente collegato all’attacco di Vienna del novembre 2020.
Secondo alcuni osservatori, il Kosovo rappresenterebbe un rischio per la lotta al terrorismo jihadista anche a causa delle politiche dei rimpatri degli ex combattenti promossa attivamente da Pristina negli scorsi anni. Solo nel 2019, il governo kosovaro ha rimpatriato 110 cittadini, di cui quattro ex combattenti. È chiaro che questo pone dei problemi legati prima di tutto alle effettive capacità del Paese di poter gestire un problema che riguarda direttamente e su più ampia scala l’Unione europea. Tuttora infatti non esiste una strategia comune per affrontare il tema dei rimpatri, con approcci che variano a seconda del paese in questione, e questo complica ulteriormente la collaborazione tra l’Aja e i paesi dei Balcani occidentali.
Carlo Comensoli