Con l’offerta di aiuto al Kazakistan contro “forze esterne”, Pechino lascia la politica di non interferenza nei paesi lungo la sua Belt and Road Initiative.
Le violenze in Kazakistan hanno portato un altro dei paesi vicini della Cina nel caos, minacciando la stabilità regionale.
L’intervento dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, Csto, ha posto fine alle violenze e ha consentito alla Russia di rientrare in Kazakhstan per aiutare a stabilizzare la situazione e proteggere il suo regime.
Anche se Pechino non è stata direttamente coinvolta nel dispiegamento militare, è diventato evidente che non poteva più stare a guardare. Le motivazioni di Pechino sono state determinate principalmente dalla sua importanza economica per la Cina che si rifornisce per almeno il 20% di gas naturale da o attraverso il Kazakistan. Pechino ha investito centinaia di milioni di dollari in Kazakistan in settori che vanno dall’ingegneria chimica all’agricoltura alle infrastrutture.
La Cina è anche il più grande partner di esportazione del Kazakistan. Nel 2020, il commercio bilaterale valeva più di 20 miliardi di dollari, con la Cina che ha spedito 12,59 miliardi di dollari di merci in Kazakistan mentre ha importato 10,35 miliardi di dollari.
Con un confine di 1770 chilometri con lo Xinjiang tra la Cina e l’Occidente, il Kazakistan è un canale vitale per l’ambizione della Nuova Via della Seta di raggiungere l’Europa. Questo rende il Kazakistan sia un soggetto che un oggetto degli interessi geopolitici della Cina, e quindi i disordini lì hanno rapidamente spinto Pechino all’azione.
Gli scambi militari tra Cina e Kazakistan sono iniziati nel 1993 e nel corso degli anni si sono concentrati principalmente sull’antiterrorismo piuttosto che sulla guerra convenzionale, anche attraverso la Shanghai Cooperation Organization di Pechino, che declina esplicitamente qualsiasi ambizione militare.
In una recente telefonata alla sua controparte kazaka, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha sottolineato come “forze esterne” stanno cercando di disturbare «la pace e la tranquillità nella nostra regione»; ha anche detto che la Cina è disposta a «opporsi congiuntamente all’interferenza e all’infiltrazione di qualsiasi forza esterna».
In una precedente telefonata tra il presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo kazako Tokayev, il leader cinese si è opposto risolutamente ad una novo “rivoluzione colorata” che rovesciasse l’attuale regime e suscitasse disordini nella regione cinese dello Xinjiang, permettendo ai separatisti di etnia uigura di ampliare le loro attività, come l’Etim.
Questa politica attiva di Pechino è stata descritta in un editoriale del Global Times, in cui si sosteneva un ruolo attivo della Cina nella gestione della stabilità regionale e nella protezione dei suoi interessi economici in Asia centrale.
Global Times, organo del Pcc, ha affermato che era «essenziale per la Cina non solo offrire al Kazakistan il sostegno necessario per aiutarlo a ripristinare l’ordine, ma anche cogliere questa opportunità per coordinare attivamente gli affari di sicurezza e stabilità con i paesi vicini».
Il cambio da una politica di non-interferenza a una d’intervento mostra che c’è una nuova volontà di Pechino di sostenere attivamente i suoi alleati contro percepiti “interventi esterni”.
Con la Nuova Via della Seta che si estende in Asia, Africa, America Latina e Caraibi, questo sta gradualmente già accadendo in tutto il mondo, specialmente in Africa.
Non è ancora chiaro se la Cina cercherà di stabilire una presenza militare simile in Asia centrale, dove l’alleato, la Russia, è già presente militarmente. Mosca vede ancora la regione degli “Stan” centrasiatici parte della sua sfera d’influenza, come il suo pronto intervento militare nella crisi del Kazakistan ha dimostrato.
Tommaso Dal Passo