JIHAD. Dal declino alla rinascita

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Ripubblichiamo il servizio che accompagna il podcast della puntata di Risiko, trasmissione di Radio Sparlamento, andato in onda il 7 ottobre scorso. Per ascoltare il podcast cliccare qui.

Il 24 settembre scorso, Christopher Miller, direttore del National Counterterrorism Center (il capo dell’intelligence degli Stati Uniti), nell’ambito di un’audizione dinanzi al Congresso americano, ha dichiarato che l’Isis e Al Qaeda, sono riuscite a riprendere il controllo di diversi territori in Africa, soprattutto nella regione del Sahel, dove sono presenti forze americane e occidentali. In altre parole, il capo dell’intelligence USA ha chiaramente detto che la minaccia islamica non è ancora stata vinta, scuotendo le certezze del Congresso.

Dal Rapporto presentato da Miller – ci spiega Antonio Albanese, direttore di AGC Communication – si evince che l’Isis ha rimesso in moto ad alto livello la macchina mediatica per annunciare e rivendicare le sue battaglie. Secondo i riscontri dell’intelligence statunitense, infatti, la rete web globale di Isis conta attualmente circa 20 diverse filiali e reti, con una forte presenza in Africa. Inoltre, un dato importante riguarda la fine della pace armata tra l’Isis e Al Qaeda, le due facce della medaglia dello Stato islamico, proprio in ragione della strategia espansionistica di Isis nel Sahel.

Negli ultimi due anni Daesh– ci spiega Eric Molle, senior analist di AGC Communication e responsabile desk Africa – ha allargato il proprio raggio di azione nei territori dell’Africa centrale, dove non vi era la presenza di Al Qaeda da contrastare. Il riferimento è al Congo e al Mozambico. La presenza di Isis nel Congo risale al 2017 – continua Eric Molle – presumibilmente nata da una scissione di un gruppo locale vicino ad Al Qaeda. Successivamente, questa cellula è riuscita ad espandersi enormemente, anche in ragione del sostegno economico proveniente dalla direzione centrale di Daesh, fino a creare di fatto una provincia autonoma che si estende la parte Est della Repubblica democratica del Congo, a partire da Beni, fino ad arrivare nella costa nord del Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado.

Circa un mese fa il Califfato ha preso il controllo della città costiera di Mocimboa da Praia, proprio nell’area dove il consorzio ENI-ExxonMobil  ha previsto di investire oltre 15 miliardi per la costruzione di un gasdotto. Per contrastare Daesh, il Governo di Maputo ha chiesto il sostegno della UE, che si è resa disponibile ad intervenire qualora vi sia una richiesta formale in tal senso da parte del Governo del Mozambico. Daesh agisce indisturbato anche verso la parte Nord-Est della Nigeria, estendendosi nelle regioni del Borno e di Yobe, fino al Niger (dove ad agosto c’è stato un attacco contro operatori umanitari francesi).

È in questo territorio – ci spiega Eric Molle – che si registra la presenza principale di Daesh, che effettua attacchi non solo contro l’esercito nigeriano, ma anche contro le forze armate dei paesi del 5G Sahel a guida francese. La stessa situazione la ritroviamo in Mali, in Niger e il Somalia, dove i gruppi di Daesh rappresentano una filiera del gruppo Nigeriano. Forte di queste vittorie, il Califfato si è spinto nel corso dei mesi estivi verso i territori del Mali, scontrandosi questa volta con Al Qaeda, che proprio nei giorni scorsi ha arrestato l’avanzata di Daesh. Un “eccesso di fiducia” da parte di Isis, che ha messo fine al patto di non belligeranza tra le sue organizzazioni terroristiche.

Quali conseguenze l’Occidente dovrà aspettarsi da questa rinascita Jihadista in Africa? Ci sono diversi aspetti che riguardano la sicurezza internazionale: quello terroristico e quello migratorio. Dal punto di vista migratorio, al momento – osserva Eric Molle – nonostante i continui attacchi terroristici ( oltre 118 solo nell’ultimo anno) non si registrano spostamenti migratori rilevanti, soprattutto perché le frontiere tra i diversi paesi sono ancora chiuse. In ragione di ciò, si stanno invece creando nei confini tra il Mali, il Niger e il Burkina Faso dei centri per rifugiati interni. Solo dal Sudan è stato rilevato un flusso verso Kufra, nella zona sud est della Libia. Per quanto riguarda la minaccia terroristica, lo Stato islamico si prepara ad un cambiamento di offensiva, che metterà a dura prova l’Occidente.

Secondo il Rapporto dell’intelligence statunitense – chiarisce il direttore di AGC Communication – la nuova strategia terroristica jihadista sarà orientata verso attacchi di minore intensità (come accoltellamenti e investimenti), ma più frequenti: più difficili da prevedere e contrastare e, soprattutto, in grado di generare un panico generalizzato nella popolazione. Una nuova prova che l’Europa deve prepararsi a contrastare e a cui deve preparare anche la popolazione, per evitare di creare un clima di terrore che potrebbe destabilizzare la tenuta sociale.

Soprattutto, bisogna stare attenti ad evitare facili derive populiste che mettano in relazione il numero dei migranti che arrivano in territorio europeo con l’aumento del rischio terroristico. Non c’è una correlazione tra immigrazione e attività terroristiche – chiarisce il direttore Albanese -.poiché si tratta di fenomeni che attengono a dinamiche molto diverse.

Quanto detto, ci porta a riflettere sulle sfide che attendono il Continente europeo, davanti alle quali non potremo farci cogliere impreparati. Le guerre (ma anche i cambiamenti climatici) stanno facendo mobilitare milioni di persone, costretti a fuggire dalle loro terre per cercare una vita migliore di quella che si sono lasciati alle spalle. Non è una scelta quanto un’esigenza di sopravvivenza, laddove la guerra dove passa distrugge tutte le strutture sociali esistenti. 

Un aspetto questo che emerge chiaramente dallo studio MIGRANTI: STORIE DI UN FENOMENO condotto da Antonio Albanese e Graziella Giangiulio, direttore e condirettore di AGC Communication. Non è possibile fermare questo esodo, si può (e si deve) gestirlo tenendo conto delle diverse implicazioni sociali, economiche ed antropologiche. In altre parole, è necessaria una visione globale del problema, che accompagni in maniera razionale un cambiamento inevitabile. Diversamente ad essere travolta sarà la nostra stessa civiltà occidentale.

C’è poi un altro aspetto della gestione dell’immigrazione, quella che attiene al c.d. “diritto a non emigrare”, per citare Papa Francesco. Da questo punto di vista è interessante mettere in evidenza le modalità utilizzate da Daesh nella sua conquista del territorio africano. Infatti, la strategia sia Daesh che di Al Qaeda – ha rilevato nella sua analisi Eric Molle – è quella di sfruttare le criticità socio politico ed economiche africane, intervenendo a livello economico.

In pratica, Daesh nel Sahel ha trasformato delle zone con un’economia disastrata, in territori con economie che permettono la sussistenza alla popolazione locale. E, infatti, Daesh in Nigeria ha trovato il favore della popolazione locale. Questo per dire che il miglior modo per l’Occidente di gestire le conseguenze “umane” delle guerre, è quello di intervenire economicamente sul posto, per ricostruire le condizioni essenziali alla vita in territori devastati dalla guerra e dalla povertà. A quanto pare le organizzazioni terroristiche lo hanno capito prima dei politici benpensanti delle evolute democrazie occidentali, ma per finalità tutt’altro che filantropiche. Se non si intraprenderà questa strada, lo scontro tra civiltà sarà inevitabile. Vite umane, contro altre vite umane.

Cristina Del Tutto