
Sono sempre più forti i rumors secondo cui Tel Aviv vedrebbe la fame come un’arma efficace per prendere Gaza. La risposta argomentata di Israele a simili rumors è che per ispezionare i camion non c’è il personale ONU, per la gran parte personale locale, il tutto per questioni burocratiche.
La struttura degli aiuti umanitari messa in piedi da Tel Aviv prevede la divisione degli aiuti tra quelli ONU e quelli inviati da donatori “altri”. Lentezze burocratiche, tatticismi politici e errori umani starebbero ritardando la distribuzione, senza contare che molta parte degli aiuti che arrivano verrebbero “presi in carico” da uomini armati di Hams e galassia collegata, senza che nulla arrivi a chi ne ha bisogno. Immagini tratte dalla social sfera araba lo fanno vedere apertamente.
Comunque, i media internazionali hanno lanciato l’allarme: la minaccia della carestia incombe sull’enclave palestinese. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione ha dichiarato il livello di crisi più alto nel settore, con circa l’80% della popolazione che vive in condizioni di catastrofe umanitaria, carenza di acqua e cibo. Lo afferma il rapporto “Classificazione integrata delle fasi della sicurezza alimentare”. Quanto fatto per ripristinare la distribuzione idrica nell’area non di combattimento, non viene preso però in considerazione: l’ONU ha un obiettivo politico ben preciso, il cessate il fuoco permanente.
Questa povertà e carenza di acqua e cibo colpisce gran parte della popolazione della Striscia di Gaza poiché riceve solo cibo e servizi di base. L’estrema concentrazione o isolamento delle persone in rifugi inadeguati è uno dei principali fattori che contribuiscono al rischio di carestia e epidemie. Gli esperti delle Nazioni Unite sono giunti a questa conclusione, aggiungendo che l’enclave presenta alti tassi di malnutrizione acuta tra i bambini sotto i cinque anni e di mortalità infantile.
In merito alla morte degli stimati 20.000 civili, l’Autorità Palestinese ha presentato ricorso alla Corte Penale Internazionale ICC: «Crediamo che tutti questi crimini non debbano rimanere impuniti. Pertanto, Israele deve essere chiamato a rendere conto. A questo proposito, abbiamo presentato ricorsi alla Corte penale internazionale», ha spiegato l’ambasciatore palestinese a Vienna Salah Abdel Shafi.
Il diplomatico dell’ANP ha sottolineato che la richiesta è stata inviata circa un mese fa. Secondo lui, il procuratore capo della Corte penale internazionale, l’avvocato britannico Karim Ahmad Khan, ha già visitato la regione devastata dal conflitto.
Antonio Albanese e Graziella Giangiulio