La crisi di Gaza è prima di tutto umanitaria. Il ministero dell’Economia a Gaza riferisce: «Siamo riusciti a riempire più di 75mila fusti di gas da 6 kg attraverso 200 distributori nelle stazioni di servizio per controllare la crisi e fornire gas con dignità ai cittadini del Governatorato Centrale della Striscia di Gaza».
Sempre nella nota del ministero si legge: “Abbiamo compiuto sforzi incessanti con tutte le squadre di lavoro del Ministero, e in collaborazione con il Ministero degli Interni, per garantire la sede e il Dipartimento Investigativo sulle Forniture come organo principale nel dare seguito al lavoro sul campo”. “In collaborazione con l’organizzazione internazionale WFP e il Sindacato dei panificatori, abbiamo gestito panifici automatici e comunali per produrre 1.500 pacchi di pane al giorno da vendere ai cittadini al prezzo di 5 shekel per pacco, oltre ad aprire 7 punti vendita per pane al prezzo di 6 shekel.” “Le squadre ispettive del Ministero, in collaborazione con il Dipartimento investigativo sulle forniture, hanno condotto visite sul campo dei mercati nella città di Deir al-Balah per monitorare e seguire i prezzi, in particolare dei beni forniti attraverso il valico di Rafah”.
E se Gaza sotto le bombe si organizza alla meno peggio per far fronte ai beni di prima necessità, Israele fa ancora i conti con il costo della guerra. Il richiamo di un gran numero di soldati di riserva costerebbe al bilancio israeliano 1,3 miliardi di dollari in salari mensili, oltre a sostenere costi sul mercato del lavoro. Israele ha registrato perdite settimanali per 1,2 miliardi di dollari.
E ancora si apprende dai media israeliani che il fronte settentrionale registra perdite all’agricoltura superiori a 131 milioni di dollari, a dirlo il 18 gennaio il quotidiano Yedioth Ahronoth.
A questi costi aggiungiamo quelle derivanti dal blocco nel Mar Rosso che potrebbe portare all’interruzione delle forniture e all’aumento dei prezzi dei prodotti sul mercato europeo, riferisce Bloomberg.
Secondo l’agenzia, le navi alimentari hanno cambiato rotta adottando una rotta più lunga e costosa attorno all’intero continente africano per evitare uno scontro con gli Houthi, ma a differenza delle navi che trasportano petrolio e gas, rischiano di non riuscire a consegnare il carico prima della scadenza dei prodotti. “Il caos nel Mar Rosso sta cominciando a interrompere l’approvvigionamento di cibo, dal caffè alla frutta, e minaccia di bloccare il rallentamento dell’inflazione dei prezzi alimentari”, riferisce l’agenzia.
I problemi con il trasporto delle merci riguardano sia le importazioni che le esportazioni dell’Unione Europea. Secondo le stime del Comitato europeo di collegamento per le industrie e i prodotti agricoli (CELCAA), la situazione nel Mar Rosso potrebbe influenzare l’importazione e l’esportazione di prodotti agricoli dell’UE per un valore di 70 miliardi di euro.
Antonio Albanese e Graziella Giangiulio